da Alessandro Ceratti
Grondona, affrontando il tema delle liberalizzazioni, se la prende con la grande distribuzione. Tutto ciò che dice è vero, salvo l’aspetto determinante che essa è veramente riuscita a contenere i prezzi. Il negozietto sotto casa era comodo e senz’altro ci si poteva trovare competenza e fantasia. Solo che in genere, di fronte a un giro d’affari limitato, ci doveva campare sopra una famiglia (che aveva la tendenza a trattarsi bene). Ora invece ad accoglierci negli ipermercati c’è spesso un commesso alle prime armi, per parlare con il quale abbiamo dovuto fare la fila e che gestisce da solo un giro d’affari parecchie volte superiore a quello del negozio. Inoltre la grande distribuzione facendo acquisti di entità rilevante può certamente spuntare prezzi migliori con il produttore. Tutto ciò si traduce in un prezzo della merce significativamente inferiore. Malgrado gli evidenti difetti della grande distribuzione rispetto al commercio al minuto questo singolo vantaggio è stato preferito dai consumatori. Tanto è vero che i negozietti hanno chiuso in massa.
da Alberto Arienti
Caro subcomandante, sono curioso di conoscere le tesi non-negazioniste “che, sulla base di indagini storiografiche, non negano affatto le deportazioni e gli eccidi nazisti ma ne offrono una differente versione, meno utile ai fini del sionismo, di quella attuale”. Perchè mpm concedi a Freda di superare le 500 righe e di illustrarcele?
da Paolo Beretta
Freda mi dà l’impressione di essere uno che è estremamente convinto delle sue idee. No che questo sia un difetto, beninteso. Come conseguenza, tutte le sue affermazioni dovrebbero far venire, almeno a me succede questo, qualche dubbio sulla storia come la conosciamo. Che poi si sia in disaccordo sull’undici Settembre, l’Olocausto o lo sbarco sulla Luna, poco importa, è giusto così. Freda, se intendi smettere per pigrizia posso capirlo (sono pigro anch’io), ma se mi dici che “non ne puoi più di discutere secondo schemi mentali imposti dai giornali e dalla TV e che 500 battute non sono sufficienti per spezzare”, allora m’incazzo. Credimi se ti dico che gli schemi mentali di questo blog sono ben lontani da quegli standard che suggerisci, e se ascolti per un attimo i discorsi della gente comune te ne rendi conto pure tu. . Un posto dove tutti si parlano addosso in amore e concordia sarebbe ben palloso. Che ci crediate o no, se sparissero Freda, ma anche Guiotto e Goldoni, questo posto sarebbe molto meno interessante. Mi mancherebbe persino l’Avvocata.
da Antonio Leonforte, Roma
Grondona lamenta la scomparsa dei negozietti sotto casa per comprare la bistecca o il lettore mp3. Per gli alimentari e per tutti gli altri prodotti non chiaramente identificabili (con marca e modello, per intenderci) può aver ragione. Ma per tutti gli altri (ed in particolare per i prodotti ad alta tecnologia) la accoppiata fra internet e grandi centri commerciali è assolutamente vantaggiosa per il consumatore moderno. Basta fare un giro sui forum, andare sui siti che riportano per ciascun prodotto i commenti degli acquirenti, poi acquistare on-line dove costa meno, oppure andare in un centro commerciale ben fornito e (senza bisogno di fidarsi della competenza del personale di vendita) trovare quello che si cerca ed acquistarlo con la carta di credito. Andando in giro per negozietti si perde il triplo del tempo e si finisce spesso per comprare oggetti obsoleti (che il piccolo venditore tende a consigliare per liberarsene) ad un prezzo più elevato. Inoltre sono proprio le dimensioni dei grossi centri a consentire le economie di scala che si traducono in prezzi bassi per il consumatore.
da Gianni Perfetti, Roma
Qui siamo non siamo più alle opinioni scambiate coi fatti ma alle leggende che diventano fatti. A Biagi non fu interrotto nessun contratto ma sottoscrisse un accordo per la fine di una collaborazione in cui si dichiarò pubblicamente pienamente soddisfatto. Non ricordo come andò con Santoro, ma non penso che la discriminante di una democrazia possa essere la trasmissione o meno dei programmi di Santoro (Quanto poi a Santoro e al suo disprezzo per gli elettori a cui chiese il voto per poi rinnegarlo in cambio di una comparsata in un programma di varietà è argomento che si presta ad altro “topic” ma dice a parer mio a sufficienza sul personaggio). Non mi pronuncio sulla Guzzanti (che tuttavia nel frattempo non mi risulta essere stata mandata in un gulag) ma su Luttazzi, sì: il compito di un comico è quello di far ridere e Luttazzi non ha mai fatto ridere nessuno. (…)
da Maria Letizia Consoli
A chi ironizza sulla reggia di Caserta ricordo che sia Romano che baffino-d’alema lo hanno spiegato a chiare lettere: non si è pagato un solo euro per l’ alloggio dei nostri prodi Unionisti dal momento che la palazzina usata per il pensoso raduno è di proprietà della Presidenza del Consiglio. La vicinanza con la fastosa reggia è casuale e l’ accostamento che alcuni tendono a fare è puramente strumentale.
di Giorgio Bocca per l’Espresso
Gli immigrati ci fanno comodo ma non si integrano, in cucina come nella vita sociale, e sognano di tornare a casa arricchiti. Ecco perché non amiamo questa umanità forestieraSbagliano gli zelanti utopisti di un mondo degli eguali a togliere i crocefissi dalle scuole e dai cimiteri pensando che quel simbolo ostacoli la parificazione del genere umano, dovrebbero togliere le banconote e le azioni, cioè i segni della diversità del censo, del capitale, ben più profondi e duraturi.E sbaglia il sommo pontefice quando afferma che l’immigrazione dai paesi poveri a quelli ricchi è comunque un bene. È necessaria anch’essa. Nel senso che al momento appare inevitabile, ma su questo tema anche il pontefice non può richiamarsi alla infallibilità, neppure lui può dire se è un bene o un male.Se si sta al presente di una Italia invasa dall’ondata migratoria, verrebbe di pensare che la sola cosa certa è che la conoscenza del nostro Paese, della sua società, della sua civiltà è fortemente diminuita, che viviamo in un limbo sociale in cui due popoli l’un l’altro sconosciuto si fronteggiano, si sopportano e per comune decisione dichiarano di essere assimilati se non eguali. Ma non è vero.Milioni di italiani che hanno assunto una cameriera straniera quasi sempre del mondo povero hanno in pratica abbandonato in tutto o in parte il modo di vivere italiano, la cucina italiana, il modo di cuocere, condire, friggere, mettere in savor, conservare, insaccare, tagliare.Le mutazioni, le mediazioni, che furono nel passato delle città marinare, vennero accettate gradualmente, circondate da difese insuperabili. Si pensi alle cucine padane in gran parte intatte nonostante la vicinanza di porti come Genova o Venezia.Con l’immigrazione di massa va scomparendo, per dire, la conoscenza della cottura: avrò cambiato in questi anni sei o sette immigrate ai fornelli, ma un bollito cotto da bollito, piemontese o emiliano, non l’ho più mangiato, sempre stopposo, sempre cotto al punto sbagliato. Non c’è cuoca del mondo povero che rinuncia ai suoi condimenti forti e tenaci. Pesti indimenticabili di agli e radici schiacciate, cucine che odorano di Oriente e di Perù, magari piacevoli, ma stranieri.Questa mescolanza culinaria che nei ristoranti di lusso può sembrarti una scoperta, un piacere per pochi, ma che sparsa e presente in ogni cucina del tuo paese è un fastidio.Con l’immigrazione di massa è scomparsa nelle nostre case l’idea di servizio: fra i padroni e le buone cuoche, i buoni camerieri, c’era questo denominatore comune del servizio, per cui un buon pranzo, una buona tavola, un buon vino dovevano essere serviti nel migliore dei modi da parte di tutti, padroni e servitori, e non come ora qualcosa che riguarda solo i primi. E chi andava a servizio in breve si sentiva parte della famiglia, non come gli immigrati che pensano solo e giustamente ai loro interessi, a salire rapidamente la scala delle retribuzioni e del tempo libero. E anche questo è necessario, inevitabile ma meno piacevole e non è affidabile come la tata che ti veniva in casa da ragazza.C’è poi l’aspetto più sgradevole e più importante: che il popolo degli immigrati a stragrande maggioranza non si integra, non vuole integrarsi, scopre che nei difetti siamo simili a lui, nelle virtù spesso inferiori e si tiene sempre una porta aperta per il ritorno, i costumi, come la religione, sia il continuare a vivere fra di loro, sia il sogno di tornare a casa arricchiti.È indubbio che gli immigrati li lasciamo venire perché ci fanno comodo, fanno i lavori peggiori, gli orari più duri, ed è indubbio che quanto a insofferenze, soprusi, violenze siamo noi i padroni di casa, i maggiori colpevoli, ma ciò non toglie che, tirate le somme, la nostra società sia peggiorata, sia più egoista, più violenta ed ecco la ragione di fondo per cui anche noi non la amiamo questa umanità forestiera. Le traduzioni non hanno sostituito le invasioni che sempre invasioni sono.
da Primo Casalini, Monza
Trovo ripugnante l’operazione del giornalista Riccardo Bocca dell’Espresso: spacciarsi al confessionale per un penitente e prendere nota di che cosa gli dice il prete. Operazione facile, chiunque può accostarsi ad una grata e dire quello che gli pare. L’inchiesta è costata quattro soldi, bel colpo, ne saranno contenti. La confessione si basa su un patto non scritto di fiducia reciproca, niente è più facile da violare della fiducia. La prossima volta che faranno? Rovesceranno la pisside con le ostie? Si faranno battezzare in quattro chiese diverse per decidere chi è il prete che fa il migliore shampoo? Si nasconderanno sotto il letto della coppia cattolica per vedere che succede nella prima notte di nozze? Essere laici non vuol dire essere sordidi. Chi ne esce bene – l’ho letto, l’articolo – sono i preti e i frati, stretti fra i precetti da una parte e la persona in difficoltà dall’altra. Non si tratta di capre e cavoli, si tratta di persone che vanno aiutate, e loro ci provano: si chiama atteggiamento pastorale, per chi non lo sapesse. Di fronte ad un episodio di tale squallore dico che non posso non dirmi cattolico: battezzato, cresimato, confessato, comunicato, sposato. Domani me la prenderò con Ruini e con i teodem o teocon, come penso sia giusto fare – sono laico da decenni – e continuerò a condividere ciò che scrive Piergiorgio Odifreddi, ma basta con l’Espresso.
Ho cambiato idea sulla musichetta. Il fatto che cambi spesso ha finito perconquistarmi. Però mi chiedo: perché non scrivere due righe sotto labarretta di controllo per citare autore, interprete e possibilmente anno ?Così chi la sente ha modo di sapere cosa sente, nel caso in cui non losapesse. Non sono mai contento, lo so, è la mia unica qualità.