Claudio Sabelli Fioretti

TUTTI AL MALI
Appunti di viaggio - 2006



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Dopo avervi disturbato in edicola vi massacro in libreria
edito da Marsilio e' uscito
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trentasei interviste da Pigi Battista a Gianni Baget Bozzo passando da Adriana Faranda e "James" Bondi
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lo potete comprare anche on line e sia chiaro che i diritti di autore non me li prendo io ma
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10.1.06

TUTTI AL MALI

Se Dio vuole me ne vado quattro settimane in Mali. Spero di potervi ammorbare con una lettera quotidiana. Ma nel deserto, sapete, non è poi così facile. Ci provo. Spero anche di leggere la posta. E magari anche di curare un po' il sito. Ad una sola condizione. Che mi aiutiate voi stessi attenendovi drasticamente alla regola di non scrivere MAI sopra le 500 battute.(csf)


11.1.06

TUTTI AL MALI /2

Partenza alle 8,45 da Malpensa con volo Air Senegal per Dakar. Da lì altro volo per Bamako, capitale del Mali. Andremo subito ad Essakane dove ci aspetta la sesta edizione della Musica del deserto, musica, danze, artigianato, poesia, canti, corse di cammelli, forum e conferenze. Poi Timboctou, il Niger in pinasse, Mopti, i paesi Dogon a piedi, Djenné, e per il finire il festival di Segou. Il tutto con il Cta, Volontari per lo sviluppo, che ci porteranno a vedere i loro progetti soprattutto a Siby. Vi terrò aggiornati. (csf)


16.1.06

TUTTI AL MALI /3 e 4

11 gennaio 2006: a Bamako

Naturalmente hanno perso tutto il mio bagaglio. Sparito alla Malpensa? Sbarcato a Dakar? Proseguito per Niamey? L'unica risposta ufficiale è "boh, telefoni fra tre ore". Arriviamo a Bamako il tardo pomeriggio col gruppo del Cta di Torino, turismo responsabile, viaggi solidali, quella roba là. Per oggi vi dico solo che siamo dodici, undici donne e un uomo, io. Non ho sacco a pelo per il deserto. Non ho mutande di ricambio, non ho camicie, pantaloni, calzini, cappelli, Autan, zampironi, spazzolino, dentifricio, la mia adorata Tachipirina, non ho nemmeno lo Zovirax. Non sto nemmeno a dirvi come mi sento senza il rotolo di carta igienica. Ho solo uno zaino contenente: telecamera Sony, computer Vaio, telefonino Nokia. Sono nudo e tecnologicamente avanzato. Affronterò l'Africa con grande sprezzo dell'inadeguatezza. Unico aspetto positivo per ora: i giornali locali non riportano alcuna dichiarazione di Giovanardi.

12 gennaio 2006: a Savaré

Al mercatino di Segou compro tutto quello che debbo comprare: coperte per il deserto dove andremo domani (Essakane, festival della musica del deserto), antizanzara, fazzolettini, e uno splendido vestito da maliano (e turbante di ordinanza, da touareg). Comincio a fare la conoscenza del gineceo durante la lunghissima tappa di trasferimento (dodici ore di pulmino). Ricordo un'infermiera, un'avvocata, una commerciante di biancheria, quasi tutte impegnate, come si dice, nel volontariato. Ricordo una Paola, una Danila, una Gabriella, una Raffaella (la accompagnatrice), una Silvia, una Luisella, una Maria Assunta). Unica nota degna di nota: abbiamo investito un cinghiale. Tutti disperati (devo dire disperate?). Ma l'autista ci consola: "Era già ferito". Il pulmino sembra un call center. I telefonini squillano in continuazione. Solo io non riesco a comunicare con nessuno. (csf)


19.1.06

TUTTI AL MALI /5 - 6 - 7

15 gennaio : a Tombouctou

Tutti i viaggiatori da decenni fanno di tutto per arrivare a Tombouctou e poi si dichiarano delusi. Non saro' io a dare loro torto. Ma la domanda e': perche' tutti continuano a voler raggiungere Tombouctou ? Diciamolo : Tombouctou e' una schifezza. Qual e' la sua magia? Forse il fatto di trovarsi al confine tra un grande fiume, il Niger, e un grande deserto, il Sahara. D'alrtonde che cosa aspettarsi da una citta' che si chiama « il pozzo di una donna dal grande ombelico »? Insomma a Tombouctou si rompe anche la nostra quattro per quttro ma si rompe a 200 metri dall'albergo. L'albergo Bouctou, naturalmente. Couscous a cena. Non ho detto: buon couscous a cena. Non so che cosa abbia dichiarato la Bartolini e non voglio saperlo. Sempre senza valigie. Ho finalmente imparato i nomi di tutte le fanciulle del gineceo. Maria Assunta, Elisabetta, Raffaella, Silvia, Laura, Paola, Danila, Roberta, Gabriella, Luisella, oltre ad Annette naturalmente.

16 gennaio : in pinasse sul Niger

Sveglia alle 5, mi raccomando. Nessun problema, non ho tante valigie da fare, anzi nessuna. Ma gli autisti arrivano alle 6,30. Prima incazzatura sahariana. Fermata a Dire'. Mi viene da pensare che qui di turisti ne arrivino pochi ma subito un bambiuno mi dice: «Toubab, cadeau », uomo bianco dammi qualcosa. Tutto il giorno risaliamo il Niger, molto grande, guardando le rive, i paesi dei pescatori, le piroghe alla pesca, le pinasse da carico e Quelle passeggeri. Gli uomini pescano e le donne lavano enormi pentole e vestiti e bambini e se stesse. Mai il contrario. Non ho visto uomini che si lavano e donne che pescano. Anzi no. Donne che pescano si', uomini che si lavano no. Sono cinque giorni che non mi viene in mente Cicc??hitto. Ci fermiamo verso le sei di sera su una spiaggetta. Tende, couscous fantastico realizzato dalla nostra guida con pesci comprati al volo dalle piroghe. Serata attorno al fuoco con canti che fanno inorridire la raffinata educazione musicale dei due maliani che stanno con noi. Finisce con giochi di societa' che ci promuovono automaticamente al ruolo di gruppo più imbecille in visita al Mali. Tocchiamo il fondo ballando l'hully gully. Gli dei del Niger lasciano correre e noi alle dieci siamo in tende. La giovani marmotte debbono alzarsi persto. Si salpa alle 5.

17 gennaio : sempre in pinasse, sempre sul Niger.

Il gineceo durante la navigazione si trasfoma in forum e affronta dibattiti seriosissimi forse per far dimenticare le imbecillità della sera attorno al fuoco. Oggi si discute della solitudine delle donne. Ovviamente mi sembra stupido partecipare, unico uomo. In pinasse si muore dal freddo. Ma anche nel deserto si moriva dal freddo. La prossima volta vado in Groenlandia. Ma dopo quattro ore di navigazione si muore dal caldo. E poi si sta bene. Nessuna notizia del mio bagaglio. Ma nemmeno di Schifani. La pinasse e' una piroga lunga circa venti metri. Ci sono molte panche sulle quali stiamo seduti come sull'autobus. Ci sono pinasse per passeggeri, per merci e per turisti. La nostra ha un motore potente, va veloce e quando vuole andare più veloce accende anche un altro motore. Sulla prua della pinasse c'e' il vano portabagagli. Sulla poppa il gabinetto, quanto di piu' pulito abbia vsito finora. E' una specie di cabina a cielo aperto con un buco sul fondo. Una turca d'acqua. Il Niger digerisce tutto quello che noi depositiamo. Per raggiungere la turca acquatica bisogna esibirsi in equilibrismi estremi camminando in bilico su una passerella esterna a sbalzo che circonda tutta la pinasse. Quando uno va a fare la pipi' la pinasse dondola paurosamente e tutti si accorgono che tu stai andando a fare la pipi'. Ogni tanto scendiamo nei villaggi e veniamo circond??ati da nugoli di bambini, alcuni urlano ma non tutti. Molti, quelli più piccoli, si accontentano di prenderti per mano e di accompagnarti cosi' per tutta la visita. L'attivita' dei piu' grandicelli invece e' quella di mettersi dieci centimetri davanti all'obbiettivo della telecamera per rovinarti tutte le riprese urlando sempre « Cadeau ». Quelli piu' grandi ancora fanno l'elenco delle loro malattie e chiedono aspirine, bic e bottiglie di plastica vuote dell'acqua minerale. A me chiedono anche il treppiede della telecamera. Scioccamente cedo qlla tentazione e regalo una bottiglia vuota scatenando una vera e propria rissa con pacchetto di mischia finale. Nella pinasse si sta due o tre per panca. Io sto quasi sempre nella prima panca. Davanti ho i bagagli, una catasta di legna per la notte e un grande bidone. Vedo solo il fiume davanti a me. E' come un film. Mi piacerebbe che fosse un film muto ma alle mie spalle il gineceo si esibisce in un chiacchericcio indistinto. L'harem si divide in Grandi Parlanti ( Roberta, Laura, Gabriella, Paola e Raffaella), Semimute (Maria assunta, Luisella, Annette) e Mute (Elisabetta, Danila, Silvia). Ma le Grandi Parlanti fanno per tutte. Le due guide maliane, un po' rimbambite dai decibel, preparano i pasti a bordo e la cucina e' ottima. Ieri fantastico couscous di mare, oggi pesce in umido con patate (purtroppo il pesce e' una carpa e come tutte le carpe fa schifo). Stasera spaghetti allo scoglio con il celebre pesce capitaine. Sulla pinasse non è arrivata nessuna notizia di Scajola ma nessuno è molto preoccupato di cio'. (csf)


24.1.06

TUTTI AL MALI /8 E 9

13 gennaio: a Essakane

Partenza con tre fuoristrada per un lunghissimo trasferimento verso Timbuctù, o come dicono loro, Tombouctou. All'uscita dell'albergo un touareg vestito da touareg mi dice: "Un vero touareg va col cammello non con la 4 per 4". Lo sguardo che gli lancio sembra convincerlo che non me ne frega niente. Giornata pesante, tutta una tirata verso Tombouctou dove ci aspetta una ricca frittatina. Poi subito verso il deserto di Essakane. Due ore ancora di sabbia con macchine non del tutto efficienti. Aveva ragione il touareg. Rimpiango il cammello. Arriviamo di notte in tempo per ascoltare il primo concerto. Si dorme in tenda, sul duro. La sabbia entra dovunque, soprattutto nel computer e nella videocamera. La madonna ci accompagni.

14 gennaio: a Essakane (due)

Giornata fra cammelli, tamburi, musiche, dune, anziani turisti europei, intere famiglie di nomadi, capre, asini, bellissime donne touareg, camminate estenuanti nella sabbia, tentativi vani di usare toilettes (meglio usare sistemi del deserto). Si mangia couscous croccante di sabbia, frittelle, si beve the e nescafé. La sera undici donne e un uomo attorno al fuoco e poi concerto della notte distesi sulla grande duna. Musica dei nomadi e musica etnica irlandese, brasiliana, americana. (csf)


25.1.06

TUTTI AL MALI /10

18 gennaio: a Mopti

In viaggio, non si sa perché, si leggono libri di viaggio. Dovrebbe essere il contrario. I libri di viaggio andrebbero letti a casa, a Cinisello Balsamo, a Cura di Vetralla, a Cernusco Lombardone. Invece si leggono mentre si viaggia. E' come ascoltare musica mentre si suona la chitarra. Io leggo "Avventure in Africa" di Gianni Celati che mi ha prestato Silvia (i miei libri di viaggio sono tutti nel bagaglio che mi dicono sta girando nel triangolo delle Bermuda tra Malpensa, Dakar e Bamako). Mi colpisce soprattutto una sua considerazione sugli africani: Che sarà di loro? Diventeranno come gli occidentali? Scomposti, pedagogici, romantici, depressivi, maniaci del tutto sotto controllo? Crederanno nella privacy, nelle vacanze, nei progetti, nella testa proiettata verso l'avvenire e mai nel presente dov'è? Si vergogneranno della deperibilità dei corpi, del vecchiume, degli scarti, del rimediato, dell'aggiustato? Sono appunti di viaggio da queste parti che Celati fece nel 1997. Un viaggio con mezzi normali, pubblici, collettivi, autobus e treni strapieni e zeppi di umanità. Ogni tanto dice: "Non ho capito niente degli africani". Figurarsi quanto ho capito io all'interno di un viaggio organizzato, per quanto di turismo responsabile e quindi molto attento alla realtà locale, come tutti quelli realizzati dal Cta di Torino. Io so tutto ormai di Roberta e di Silvia, di Elisabetta e di Paola. Ma niente di Mohamed. Sogno di fare da solo la discesa del Niger, dalla Guinea alla Nigeria passando dal Mali e dal Niger, su navi in servizio pubblico, un giorno. Fino ad oggi ho guardato molto, visto poco, capito molto poco. Mi riesce difficile soprattutto capire perché esiste l'Occidente ed esiste l'Africa. Perché esistiamo noi ed esistono loro. Ogni volta che sbarchiamo in un villaggio che è il buco del culo del mondo, mi fisso a guardare il bambino più piccolo e più carino e penso: "Ma che razza di sfiga ha colpito questo bambino da farlo nascere qui?" Capisco solo che il Mali non è il punto più basso della povertà africana. Forse perché c'è poco Occidente, pochi interessi delle multinazionali, poche risorse da piratare. Sono i ricchi che creano i poveri. Forte di queste profondissime considerazioni che mi fanno sentire più intelligente, corretto e terzomondista, affronto il terzo giorno di navigazione sul Niger. Le batterie della videocamera si sono esaurite. Ne approfitto per stare più attento a quello che vedo. Sfiliamo lentamente acconto a piccoli villaggi di pescatori dai quali compriamo pesci e legna. I bambini ci urlano dietro saluti. Le donne sono sempre più belle e sembrano sempre più intente a lavare se stesse e le pentole nel fiume. Ieri sera io e Roberta stavamo accendendo il fuoco con metodi naturali (fiammiferi, qualche legnetto, pagliette e fazzolettini di carta) quando il conduttore della pinasse ha la splendida idea di usare il suo metodo e butta mezza tanichetta di benzina sul fuoco incipiente. Per miracolo don diventiamo dei bonzi in fuoco. La fiammata è alta, ci avvolge tutti ma ne usciamo intatti anche se Roberta per qualche secondo osserva stranita la sua mano destra in fuoco. Tragedia sfiorata. Turismo avventuroso. I pericoli del viaggiatore estremo. A metà giornata arriviamo a Mopti, città vivacissima, un mercato coloratissimo, un porto fluviale impressionante per attivismo. Splendido il settore delle lastre di sale che vengono sbarcate e subito ridotte mattonelle oppure addirittura tritate. Trovo un intrenet point e scopro che Berlusconi litiga con i suoi alleati. Chiudo il collegamento. Non vorrei che mi arrivasse addosso una dichiarazione di Lunardi. (csf)


26.1.06

TUTTI AL MALI /11

19 gennaio: villaggi Dogon

Viene un momento in qualsiasi vacanza di gruppo in cui si affronta l'argomento principe dei viaggi: la cacca. Il tabù resiste cinque o sei giorni. Tutti fanno timidi accenni ma nessuno affronta il toro per le corna. C'è chi si assenta ogni venti minuti adducendo scuse puerili e chi vedi sofferente ma silente per il problema contrario. Non abbiamo derogato alla regola. Ieri la questione è scoppiata in tutta la sua complessità. E abbiamo finalmente sostituito le tematiche femministe, terzomondiste, solidali, antiamericane e filoberinottiane con un bel dibattito sulla cacca. Il risultato è stato ottimo. Posso comunicare ufficialmente ai lettori di queste note che non c'è cacarella nel gruppo e che il massimo di stitichezza presente è di un paio di giorni. Ma siamo stati anche rassicurati: il caso più preoccupante è stato risolto e il soggetto in questione ci ha rassicurato: "Ho prodotto una bella pallotta di cammello", ci ha detto raggiante. D'altra parte dice un proverbio Dogon: "Beato l'uomo che trova una donna bella, forte, lavoratrice e che fa una bella cacca". Temo l'avvio di un approfondito dibattito sulle mestruazioni. Lo sento avvicinarsi. Oggi in pulmino c'è stato qualche accenno ma l'argomento sembra non ancora maturo. Riferirò in seguito se del caso. Visita a villaggio Sango, il primo dei paesi Dogon che vediamo. Qui la Banca Mondiale o il fondo monetario internazionale, non ho capito bene, ha costruito un campement (dicesi campement una specie di pensioncina che può andare da una costruzione con camere e bagni a un semplice recinto in cui si posso sistemare tende o dormire sotto tettoie), ha realizzato un impianto di energia solare e un pozzo con annesso serbatoio di acqua. Perché a Sango? Perché ci sono delle pitture in una specie di grotta dove i bambini venivano e vengono portati per la circoncisione. Il paesino ( che è ancora lontano dalla Falesia dove vivono la maggior parte dei Dogon dopo aver scacciato, secoli fa, i Telem) è affascinante e magico. Vediamo per la prima volta i celebri granai dove vengono conservati miglio e tesori familiari e dai quali provengono le bellissime porte intagliate in legno. A Bandiagara mangiamo. Nel primo paese Dogon, Myala, ci fermiamo nel campement di Ousmane, che da oggi affianca la nostra guida italiana. Veniamo ricevuti da ovazioni e da presentazioni ufficiali dei vecchi saggi del paese. Rimediamo una specie di stanza. Rimandiamo a domani la visita del villaggio. E decidiamo di andare a dormire. Continua nel frattempo la saga delle valigie. Le notizie ci inseguono. Anche il bagaglio ci insegue. Ormai l'abbiamo chiamata la sindrome delle valigie impazzite. Sembra che abbiano acquistato una loro autonomia. Vengono date per avvistate in mezza Africa. Ogni tanto mi scopro a sospettare sguardi ironici in qualche Barbara locale come se avvertisse anche lui il mio dramma e sapesse perfettamente dove sono le valigie e ne conoscesse una misteriosa maledizione locale, una macumba del bagaglio. Perché il bagaglio ci insegue, questo è certo. Noi eravamo a Tombouctou e lui veniva segnalato a Bamako. Quando noi siamo arrivati a Sevaré almeno quattro valigie erano state viste con certezza a a Mopti. Noi siamo andati a Bandiagara e le ciniche valigie hanno fatto un balzo a Sevaré. E' fastidioso essere inseguiti dal proprio bagaglio. Ogni tanto sento il fiato del mio trolley sul collo. Sembra ormai certo che le valigie ritrovate siano quattro su sei. Poiché Luisella ha perso la sua unica valigia, Paola le sue due e noi le nostre tre è ormai in corso un complesso gioco matematico che somiglia a quello di chi voleva far traversare un fiume su una canoa un lupo una capra e un cavolo. Io sostengo che per creare il minimo di infelicità è meglio se le quattro valigie che ci inseguono sono le mie tre e quella di Luisella. Piangerà solo Paola. Ma se io ne ho persa una e Luisella o Paola l'altra, si piange in due. Poi arriva la notizia drammatica. Quelle di Paola e di Luisella sono in buona salute e delle mie solo una. E così continuerò a viaggiare vestito come un tuareg. Nel frattempo ho rimediato un cappello dogon col quale faccio la mia porca figura. (csf)


27.1.06

TUTTI AL MALI /12 E 13

20 gennaio: nei paesi Dogon

Sveglia con sorpresa: ho lasciato la videocamera accesa e adesso è scarica. Dramma. Che fare? Caricarla col fuoco non è possibile e nemmeno con la lampada a petrolio. Cerimonia ufficiale con il consiglio dei saggi al gran completo. Quello che si dice scambio culturale. Il luogo che finora mi ha più impressionato è la "casa della parola", dove si riuniscono i vecchi saggi del paese insieme all'hogon (il capo spirituale del villaggio secondo la tradizione animista). Si tratta di una specie di tettoia molto bassa, sotto la quale si può stare solo seduti. Quando i vecchi saggi si riuniscono per decidere qualche controversia il tetto basso impedisce che gli animi si possano riscaldare troppo. Appena uno, incazzato, si alza e comincia ad urlare dà una grande capocciata sul soffitto e si placa.
Ottimo sistema democratico contro i prepotenti e i focosi. Vi immaginate Sgarbi? Finite le cerimonie accetto la collaborazione di Ousmane che mi offre suo fratello Mamadou per accompagnarmi in motocicletta a Bandiagara per caricare la videocamera. 35 km su una moto scassata su una pista di sabbia con pendenze anche del 19 per cento. Vi dico solo questo: un'esperienza. Io posso dire: l'ho fatto. Tralascio tutte le salite che ho dovuto fare a piedi perché la moto non ce la faceva. Tralascio la paura delle curve su pista sabbiosa. Tralascio il tolondulé (si scrive così?) che sui motociclisti si traduce in un metodico tritamento di palle. Tralascio che appena siamo partiti Mamadou si è fermato da un meccanico (meccanico è una parola grossa) per stringere tutti i bulloni per non perdere pezzi. Tralascio il fatto che ogni volta che dicevo: "Pas vite. Doucement", Mamadou accelerava. Dico solo che sono state tre ore di andata e ritorno da cagotto. Intervallate da un pranzo favoloso all'Hotel La Falaise di Bandiagara. Couscous col montone. Mi chiedo: che cosa starà facendo in questo momento la Prestigiacomo? Il ritorno ha riservato ulteriori sorprese. Dopo dieci chilometri la moto di Mamadou ha bucato. Guardo la ruota davanti e capisco. Lo pneumatico è tenuto insieme da una gomma che lo fascia come una benda. Mamadou scompare nella brousse alla ricerca di un gommista. Un gommista nella brousse. Io mi avvio sulla pista a piedi. In fondo cono solo 25 chilometri. Dopo dieci minuti mi supera uno in bicicletta. Mi dice: "Se mi dai 5 mila franchi ti accompagno a Waila". Come? "A piedi". "Bene, gli dico, se mi dai 5 mila franchi ti accompagno a Waila io". Se ne va. Dopo venti minuti mi superano bambini. Mi dicono che forse passa un autobus. Quel forse vuol dire che non passerà nessun autobus. Dopo un'ora (di Mamadou nessuna notizia, si è perso nella brousse) arriva Saidou, in motocicletta. Mi carica e parte. E' una specie di pilota della Paris-Dakar. In un attimo arrivo a Waila in tempo per una festa locale, canti e balli. Scopro che la gente quando si saluta comincia una litania lunghissima. Il primo dice: "Amau udiere". L'altro risponde : "Po". Poi in una specie di delirio: "U seoma", "Seo", "Umana seoma", "Seo", "Uana", "Po", U seoma", "Seo", "Umana seoma", "Seo", "Uana", "Po". In pratica passano un casino di tempo a salutarsi. Ho assistito all'incontro di tre donne con altre tre donne, sembrava la Traviata. Mi chiedo: in questo momento che cosa stara' dichiarando Isabella Bartolini?

21 gennaio: nei paesi Dogon

Partenza per il trekking. Da Waila a Ende a Yabatalou a Benigmato. Fermata al mercato settimanale di Doujourou. Settimanale per modo di dire perché la settimana Dogon è di cinque giorni, l'anno di dieci mesi e il mese di 25 giorni. Tanta sabbia, tanto caldo ma le mie dodici donne si comportano bene. Mentre arranchiamo per salire sulla falaise ci superano alla grande donne peul e dogon trasportando grandi carichi sulla testa e allattando i loro bambini. Andiamo a visitare le case degli antichi Telem, quelli che abitavano qui prima che i Dogon li cacciassero. Sono dei buchi scavati nelle pareti a picco della falaise. Abitavano qui per evitare di essere mangiati dai leoni e dalle pantere che abitavano la sottostante foresta. Per tornare a casa dovevano arrampicarsi in parete con l'aiuto di corde. Una vita da free climber. Oggi i Dogon usano le loro vecchie case per seppellirci i loro morti. Sempre con le corde. Cadaveri alpinisti. Arriviamo in cima alla falaise un po' stracchi ma felici dopo aver oltrepassato un miracoloso giardino dell'Eden coltivato a cipolle in fondo a un canyon. Ieri siamo stati improvvisamente raggiunti dalle valigie. E' stata un'emozione. Sono arrivate le valigie di Luisella, di Paola, di Annette. Le mie due sono ufficialmente disperse. Continuo a rimanere nudo e tecnologicamente avanzato. Prima o poi qualcuno di voi dovrebbe farmi arrivare qui le ultime dichiarazioni di Buttiglione. ULTIME NOTIZIE: UNA MIA VALIGIA SI E' COSTITUITA ALL'AEROPORTO DI BAMAKO (csf)


28.1.06

TUTTI AL MALI /14 E 15

22 gennnaio: a Djenné

Oggi lasciamo i paesi Dogon con una certa tristezza. Il paese di Walia viene a salutarci, tutte le autorità assistono alla partenza del nostro pulmino. Ieri il paese ha eseguito per noi in piazza la danza delle maschere per la quale i dogon sono famosi. Poi abbiamo dato fondo a quasi tutti i nostri CFA per l'acquisto di Bogolan (i tessuti dipinti col fango) e gli indigo (i tessuti disegnati con il blu ricavato da foglie di non so quale albero. Abbiamo visitato altri due o tre villaggi sempre inseguiti o tenuti per mano da decine di bambini. Le ragazze del gineceo sono curiosissime di quello che sta comparendo sul blog anche perché parenti ed amici continuano ad inviar loro commenti con i telefonini. Si arriva a Djenné la città famosa per il suo mercato del lunedi, una specie di girone infernale, e soprattutto per la sua grande moschea, la più imponente costruzione di fango dell'Africa. Mi dicono che ogni anno, per risistemarla dopo la stagione delle piogge, ci lavorano quattro mila persone. Noi naturalmente non possiamo entrare e dobbiamo accontentarci di girarci attorno. Sembra che la mia valigia verde mi attenda ansiosa a Bamako. Nel frattempo io ho definitivamente completato la mia femminilizzazione. Il primo giorno tutto il gruppo usava il plurale maschile. Siamo andati, siamo arrivati. Dopo due o tre giorni le donne erano passate con decisione al plurale femminile anche quando parlavano di me. Siamo andate, siamo arrivate. Oggi mi sono scoperto ad usare anche io il femminile. Sento che fra qualche giorno mi verranno le mestruazioni. A Djenné incontro un amico di Filippo Solibello, reduce dal Forum Sociale di Bamako. E' Nicola, consigliere regionale dei Comunisti Italiano in Veneto. Lo obbligo a cenare con noi ragazze.

23 gennaio 2006: a Thiery Bou Gou

Dopo un'ultima visita veloce a Djenné, si parte per Thiery Bougou, un sorprendente villaggio realizzato da un ex missionario, padre Verspieren, una quarantina di anni fa. In piena savana, su un ansa del Dani, affluente del Niger, ci sono oggi decine di ettari piantumati a Eucaliptus, orti, allevamenti di cavalli, di asini, di anitre, di oche, di conigli, due piscine, un ristorante, un bar, decine di stanze di albergo, un piccolo museo, vasche per piscicultura, frutteti, una scuola elementare. Una specie di Eden artificiale che va avanti ad energia solare, eolica e biogas ricavato dal concime animale. C'è anche una specie di piccolo giardino zoologico. Due boa, un coccodrillo, un cammello, sei tartarughe giganti, due scimmie che ci guardano come per dirci: "Ma che ci facciamo qui in gabbia in Africa? Ma allora portateci a Berlino". L'ex missionario, morto due anni fa, è considerato un misto fra un santo e un genio. Sicuramente ha portato benessere da queste parti. Tra l'altro ha disseminato di pozzi tutta la regione. Ma doveva essere anche un po' megalomane. Si era costruito una specie di molo sul fiume dove era attraccata una grande nave, ma veramente grande, con la quale faceva lunghi viaggi sul Niger. E anche un aeroporto dal quale decollare col suo piccolo aereo privato. In ogni caso gli hanno dato la Legion d'Onore. (csf)


29.1.06

TUTTI AL MALI /16 E 17

24 gennaio: a Thiery Bou Gou (2)

Nella piccola oasi dell'ex missionario sulle rive del fiume Bani restiamo un giorno per riposarci un po'. Errore, mai perdere la concentrazione. Scoppia la cacarella. Capisco che l'argomento non è dei più eleganti ma questa è la vita. Il 25 per cento del gruppo conosce la maledizione del Montezuma africano. Per Silvia si tratta anche di influenza, febbre e mal di testa. Noi per incoraggiarla le diciamo di non preoccuparsi perché è sicuramente malaria. Il cinismo della savana. Arrivano anche sessanta bambini della borghesia bianca e nera di Bamako in gita scolastica. Niente a che vedere con i nostri piccoli straccioni mocciosi della falaise. Ben vestiti, puliti, educati, non ci prendono per mano chiedendo cadeaux. La differenza di classe non ha latitudine. La loro presenza ci consente di assistere la sera ai cartoni animati. Nessuna novità per quanto riguarda il cibo. Riso, cous cous, montone, pesce. Ma sfido chiunque a poter vantare una uscita in pedalo' sul Bani all'ora del tramonto. Con successivo pastis al bar e bagno in piscina mandando a quel paese le zanzare fameliche. Incontro con le donne della cooperativa del sapone e con i bambini delle cinque classi elementari. Credetemi. Ve lo giuro su Berlusconi. Nessuno di qua, interrogato più volte, ha dato segno di sapere chi sia Giovanardi.

25 gennaio: a Segou

Lasciata l'oasi dell'ex missionario puntiamo su Segou ma prima passiamo per l'ex capitale dell'impero bambara nel 18° secolo. E' difficile avere la sensazione del tempo che passa in posti dove le grandi piogge distruggono tutte le costruzioni di fango. Ma sono ancora in piedi varie moschee, tombe e anche il palazzo reale. Veniamo ammessi alla prese?????nza dell'hogon, capo spirituale del villaggio e discendente degli ultimi imperatori e con qualche migliaio di CFA possiamo assistere all'erede al trono che fa scena muta. Cominciano i divieti: andiamo a vedere la tomba del primo re ma non possiamo entrare. Pensiamo a luoghi sacri e maledizioni divine, invece la cosa è molto più semplice: il guardiano ha perso la chiave. Preseguiamo verso il fiume e ci viene detto che una certa strada non può essere percorsa di notte perché è abitata da spiriti maligni. Arriviamo in riva al fiume e ci mandano via ad urlacci: una cooproduzione belgo canadese sta girando un film e noi siamo finiti direttamente nella scena tra bambini vestiti come i belgo canadesi pensano che si vestano i bambini di qui (con eleganti perizoma di lino bianco simili a pannoloni) e vecchi vestiti da vecchi saggi. Il cameramen monta su un gommone e riprende scene bibliche mentre donne multicolori lavano i soliti panni nel fiume.

Note di servizio: il fratello di Raffaella tolga il drappo egiziano che sta arrivando un bogolan di ricambio. Andrea si ricordi di comprare la carne, il pane e l'insalata altrimenti quando la mamma, Paola, ritorna, non si mangia nulla. Francesco, figlio di Silvia, scaldi la casa. Luisella manda a dire a Graziella di preparare lo chardonnay. Elisabetta dice a tutti che non è sicura di ritornare. (csf)


30.1.06

TUTTI AL MALI /18

26 gennaio: a Bamako

Giornata fiacca a Segou. Mangio troppo e entro a far parte di coloro che hanno problemi. Non sto a dirvi quali. Segou è una città molto bella, piena di ville eredità dei tempi coloniali e con una magnifica passeggiata sul Niger. Stanno preparandosi per il festival che inizierà fra qualche giorno. Mi assicurano che la mia valigia è in trepida attesa a Bamako e mi commuovo. Vedo che il blog è pieno di consigli e di domande. E anche di rimproveri, alcuni dei quali fondamentali, come quello di Aldo Vincent sulla differenza fra cammelli e dromedari. Leggo anche che in Italia siete oppressi da due drammi, il maltempo e le comparsate televisive di Berlusconi. Pensate: io muoio dal caldo e niente premier. Arrivo a Bamako che non sto ancora bene. Le altre vanno a mangiare io a dormire. La mia femminilizzazione ha avuto una conferma. Ieri alcuni bambara, vedendomi armeggiare con la video camera, mi hanno chiamato: "Ehi, camerawoman!". Sabato il gineceo mi lascia. Torna in Italia. Io, Annette e Raffaella continuiamo per altri sette giorni ancora e andremo a Segou per il festival. Mentre sto scrivendo queste note accanto a me c'è Ananita Traoré, imponente, tutta biancovestita. Siamo infatti scesi nel suo albergo e stasera andremo a mangiare nel suo ristorante, il Santoro (non dite a Michele che c'è un ristorante col suo nome). Unico difetto: non si beve birra. La padrona dell'albergo impone le sue scelte e le sue convinzioni. Non mi piace. (csf)


31.1.06

TUTTI AL MALI /19

27 gennaio: a Siby

Ultimo giorno per il gruppo, ultima settimana per noi. Lasciamo Bamako dopo aver mangiato male da Santoro, locale elegante di Madame Aminata Traorè. Delusione. Rimpiangiamo i ristorantini. Di nuovo sul pulmino direzione Siby dove raggiungiamo la sede di un progetto veramente bello. Un gruppo di ragazzi, guidati da Therèse Touré, una signora francese vedova di un maliano, e ispirati da Jean Pierre Girardier, presidente del Calao, associazione francese che si occupa dello sviluppo e di progetti di educazione dei paesi ex coloniali, si danno da fare per portare le nozioni di base nei venti villaggi che formano il comune di Siby. Lo zona è vicina al confine con la Guinea ed è affascinante. Una falesia, simile a quella dei Dogon, domina la valle del Niger. Jean Pierre ha avuto due idee vincenti: i bauli scientifici e le scalate. I bauli scientifici sono dei veri e propri bauli di ferro che contengono tutte le nozioni di base per la conoscenza della vita. Niente è scritto, tutto è disegnato. I bauli girano per i villaggi e grazie ad alcuni ragazzi che sono stati addestrati portano il minimo delle conoscenze utili a ragazzi che non sanno né leggere né scrivere. Alcuni dei ragazzi diventano a loro volta addestratori e così via in un circolo che finora è virtuoso. I bauli hanno avuto tale successo che il ministero della cultura maliano ne ha ordinati cento per cominciare a farli girare in tutto il Paese. L'altra idea sono le scalate. Cinque ragazzi di Siby sono stati mandati a Chamonix, hanno imparato l'arte dell'arrampicata, si sono diplomati alpinisti e sono tornati qui ad insegnare agli altri. Hanno aperto un centinaio di vie, settimo e ottavo grado, e attrezzato una via ferrata. O meglio, una via cordata. Qui la chiamano Via Corda. "Il ferro", spiega Jean Pierre, "è meglio non usarlo. Scompare il giorno dopo". Gli alpinisti francesi, canadesi, americani e spagnoli hanno già scoperto la falaise dei Monti Mandinghi e vengono sempre più numerosi. Gli italiani no. Ignorano queste palestre di ottanta cento metri di dislivello. Jean Pierre, che è innamorato di queste zone, si arrabbia quando pensa che tutti vanno dai Dogon e pochi vengono qui. E fa di tutto per sviluppare il turismo intelligente e responsabile. Proprio oggi un esperto di sport acquatici sta scendendo il Niger con una canoa gonfiabile, dal confine fin qui, per studiare la possibilità di attrezzare due o tre punti con dei "campement" dove affittare imbarcazioni, canoe, piroghe. Qualcosa come rent-a-boat. Vuol fare la stessa cosa con le Mountain bike e i ragazzi, che si sono riuniti in un'associazione, seguono i suoi consigli e quelli di Therèse. Noi oggi ci limitiamo ad una passeggiata semplice. Saliamo sulla falaise per vedere uno spettacolare arco naturale. Il dislivello è minimo ma parte del gineceo arranca sotto il sole. Visitiamo anche la splendida grotta di Kalasa. Ritorno e grandi saluti alle fanciulle che ci lasciano. Serata tam tam con donne bellissime che ballano e cantano. Si cena con un grandioso abbacchio che, sospetto, qui si chiama in tutt'altro modo. (csf)


2.2.06

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28 gennaio: a Siby

Dietro il nostro campement ha parcheggiato un grande camion bianco. Entrano ed escono due ragazze e un ragazzo. Il camion è della ragazza francese che l'ha allestito a camper e la considera casa sua. Due mesi fa è partita dalla Francia. Attraverso il Marocco e la Mauritania è arrivata in Mali. Frequenta soprattutto i piccoli villaggi dove organizza serate di cinema africano mettendo un telo sulla fiancata del camion e proiettando film in lingua locale. Jean Pierre ieri mi ha raccontato che girovagando sul plateau sopra la falaise mandinga ha trovato impressi su una roccia dei disegni che potrebbero essere la testimonianza, l'unica finora, di un'antica scrittura. Dove? "Non te lo dirò nemmeno sotto tortura", dice. Noi abbiamo in programma la visita a Keniegoue, un villaggio proprio al confine con la Guinea dove esistono delle miniere d'oro. Viaggio non facile con una 4 per 4 che ad un certo punto deve arrendersi. Si continua a piedi guidati da Bou, il farmacista locale, in mezzo ad un bosco. Come per miracolo si materializza ad un certo punto un villaggio temporaneo. Due o trecento persone si sono stabilite in una zona che a noi appare piena di buchi come una gruviera. Ci sono bancarelle, un piccolo mercatino, delle donne che friggono frittelle, un parcheggio pieno di bici e di moto, gente che chiacchera e che dorme. Poi il formicolare dei cercatori e delle lavatrici. Pagando una tassa di 1500 CFA, due euro, si acquisisce il diritto di fare il proprio buco. Gli uomini talpa scavano in verticale per una decina di metri, in condizioni disumane. Arrivati allo strato aurifero cominciano a scavare in orizzontale, nel buio più completo, aiutati solo dalla fioca luce di una torcia che tengono legata alla testa. Orizzontalmente, sempre nella direzione est-ovest per non andare ad incrociare altri uomini talpa, procedono audacemente anche per quindici metri. Ogni volta che hanno riempito di terra un piccolo secchiello, tornano indietro e lo agganciano ad una corda che altri tirano su e consegnano alle donne lavatrici che sminuzzano la terra e poi la setacciano con l'aiuto delle loro calebasse. Risultato alla fine della giornata, se le cose vanno bene, 10 grammi di pagliuzze, pepitine e polvere d'oro luccicante che vengono venduti ai commercianti che aspettano in un angolo con le loro bilancine a circa 7500 CFA al grammo, cioè 10-11 euro. Un bottino di circa 100 euro da dividere in una decina di membri della sporca pattuglia. Gli uomini talpa ci mettono circa cinque giorni per scavare il pozzo verticale rimanendo nel fango anche tre quattro ore di seguito. Gli incidenti sono frequenti e recuperare i corpi di chi rimane travolto da qualche frana è un'impresa. Numerosi riti propiziatori vengo effettuati il lunedi, giornata in cui è vietato scavare in ricordo di una qualche tragedia lontana nel tempo. Alla sera il villaggio temporaneo smonta, tutti tornano ai loro villaggi lontani decine di chilometri (vengono anche dalla Guinea) per tornare la mattina dopo e rituffarsi nel ventre della terra. Uno spettacolo che è difficile filmare, sia per l'aspetto oggettivamente tragico di tutta l'attività, sia perché gli uomini talpa sono nervosi e non amano i curiosi. Solo la presenza di Bou ci consente la visita.

29 gennaio: a Siby

Durante l'avvicinamento a Keniegoue arriviamo a contatto col sacro e con la storia: la Case Sacrée e la Charte de Kurukanfuga. Therèse mi aveva parlato dei boschi sacri nei quali non si può entrare se si vuole sopravvivere. E della Case Sacrée dove sono conservati i misteri della religione animista locale. In questa grande capanna a Kangaba nessuno può entrare se non è un'iniziato a un griot, questa specie di sacerdoti che si sono autonominati custodi della tradizione. Ogni sette anni la casa deve essere sottoposta a restauro del tetto e dell'intonaco. I due griot e griotte più puri, non il solo sforzo della concentrazione e della loro fede, sollevano in volo il tetto e lo depositano accanto. Nessuno deve assistere all'operazione. Tempo fa un giovane focoso e curioso è balzato dentro forse sperando di vedere le piroghe d'oro con le quali i suoi antenati sono arrivati sulla Terra direttamente da Sirio, oppure i libri sacri dove sono conservati i segreti dei cacciatori che uccidono le loro prede col solo sguardo. Invece ha trovato l'incazzatura dei griot che gli hanno detto: "Hai visto ma non lo racconterai a nessuno". E l'hanno ucciso a bastonate. Non era un assassinio. Era un rito. Nessuno è finito in galera e nemmeno la famiglia del morto ha protestato. La storia: passiamo per la piana di Kurukanfuga dove nel 1235, dopo una grande battaglia fra i Mandé e il re di Soro, fu firmato un armistizio e stilato una specie di documento di 66 articoli che è arrivato fino a noi per tradizione orale. Una vera e propria costituzione, sembra molto moderna (io non l'ho letta) che ha ispirato la legislazione di tutte le istituzioni maliane da allora. (csf)



TUTTI AL MALI /22 E 23

30 gennaio: a Siby

Dormiamo nella casa di un colonnello in pensione a Keniegoue e passiamo la serata giocando a carte con Bou ed i suoi amici alla tenue luce di un neon attaccato ad una batteria caricata con pannelli solari. Si gioca a Belote, un gioco anche più complicato del madrasso. Io faccio schifo ma Annette riesce a capire qualcosa. Gli amici di Bou sono meravigliati che lei riesca a giocare bene. La mattina veniamo svegliati dalla caciara del villaggio, asini che ragliano, galline che schiamazzano, bambini che urlano, uccelli rumorosissimi. Partiamo verso il fiume dove ci attende un vecchietto con la sua piccola piroga che ci dà uno strappo di un paio d'ore per tornare a Siby. Non si vedono ippopotami ma la discesa è comunque meravigliosa. Il fascino di questo Niger ampio, lento e maestoso è enorme. Il vecchietto spinge con la sua pertica aiutato dal fatto che il fiume non è profondo. Spesso la piroga tocca la sabbia del fondo. A Siby giornata di relaxe. Domani ci aspetta la roccia.

31 gennaio: a Siby

Grande giornata sportiva. Insieme ad Ismail, Numunké, Fuseni, Moussà Camara, Moussà Kone e Lamine, i ragazzi alpinisti di Siby, affrontiamo la Via Corda, cioè la via ferrata che hanno attrezzato sopra la splendida grotta Fanfaba dove i bambini vanno a prendere il fresco e a bere l'acqua che goccia dal soffito. Io ho fatto qualche ferrata, Annette anche, Raffaella non sa che cosa sia la roccia ed affronta con incoscienza l'avventura. La Via Corda è impegnativa, molto esposta ma perfettamente attrezzata. In più è breve. Ce la caviamo egregiamente. Siamo i primi italiani ad averla percorsa. E' un record. Io ho anche filmato il tutto agitando pericolosamente la mia Sony preziosissima sui bordi????? del baratro. Alla fine si scende a corda doppia. I ragazzi si sono dimostrati molto preparati e prudenti. Insomma, ho fatto alpinismo in Africa. (csf)



3.2.06

TUTTI AL MALI /24

1 febbraio: a Segou

Bagno in piscina, passeggiata sul Lungo Niger. Aperitivo sulla terrazza dell'Hotel Esplanade, al tramonto, mentre le piroghe e le pinasse scivolano via silenziose. Ieri sera, a Bamako, abbiamo cenato con Rokia, simpaticissima moglie maliana di Sergio Giani, uomo di Salina che si è trasferito qui. Entrambi sono esperti di medicina tradizionale. Lei insegna all'università, lui lavora per l'Oms. Abbiamo conosciuto anche Baba Salah, suonatore di tamburo molto rinomato, che ha sposato un'italiana e vive con lei a Cosenza. E abbiamo cenato al Pili Pili mangiando il miglior pollo alla brace della nostra vita pagando 10 mila lire a testa. Baba suonerà anche a Segou, ma noi saremo andati già via. Ormai non si contano più i giorni ma le ore. Notizia favolosa: mi sono finamente ricongiunto con la mia ultima valigia con una cerimonia semplice ma toccante. Lei mi ha detto: dov'eri finito? Ti ho cercato in tutta l'Africa. Adesso non ho più scuse. Debbo lavarmi e vestirmi decentemente. Ieri ero elegantissimo con i miei blue jeans verde pisello e la camicia di lino gialla. Dall'Italia giungono voci drammatiche sul nostro ex gineceo. Malate e senza bagaglio. Eh eh. (csf)


4.2.06

TUTTI AL MALI /25

2 febbraio: a Segou

Giornata passata bighellonando per Segou. Visita a al mercatino delle terrecotte, dovuta presenza all'inaugurazione del Forum sul Niger con autorità varie compreso il ministro Sissoko, il regista, passeggiata per la città, puntata al Cyber Café (ma perché si chiama Café se non c'è nessun caffé?) e tappa finale abitudinaria sulla terrazza dell'Esplanade per il tramonto sul Niger sorseggiando un barattolo di succo di ananas mentre fuori, sul lungo fiume, venti ragazzini scalmanati giocano a pallone in una tempesta di polvere. La sera canti e balli sui miti del Mali, una storia di serpenti e di gemelli. Domani concerti. E il film. Di Sissoko, naturalmente. Gimba. (csf)


5.2.06

TUTTI AL MALI /26

3 febbraio: a Segou

I maliani non sono il massimo dell'organizzazione. Alla proiezione del film Guimba, diretto dal ministro della cultura, c'era parecchia gente. Ma solo quando sono comparse le prime immagini ci si è resi conto che un film non poteva essere proiettato in una sala illuminata da sessanta finestre senza scuri. Così è cominciato il lento oscuramento delle sessanta finestre. Dopo un'ora ne erano state oscurate sei. Dopo un'ora e mezza, dieci. E il film è partito. Si trattava di indovinare che cosa stesse succedendo sullo schermo tra ombre che si muovevano e sottotili bianco su bianco. Sono andato a fare un giro per la città. Nell'area del festival bancarelle, mostre, prove dei concerti. Poi cavalieri a cavallo, sfilate dei cacciatori (i cacciatori sono uguali sotto tutte le bandiere, antipatici. Sparacchiavano a salve a destra e a sinistra rompendo timpani ed altro a tutti), sfilate di touareg. Alle prove scopro Nampé Sadio. Sapete come si chiama la sua canzone di maggior successo? "Amore mio". Le ragazzine urlano e le vecchiette sanno a memoria le parole. E' un ragazzone grande e grosso che mi ha detto che verrà in Italia se qualcuno lo chiama. E' l'Julio Iglesias del Mali ma canta ritmi travolgenti, direi quasi rock se solo avessi la minima idea di quello che sto dicendo. Il pomeriggio comincia la musica. E anche il poeta Hamadoun Tandina che se la prende con la mentalità maliana. "Il faut changer mentalité". E attacca il presidente, il governatore, i poliziotti, i deputati. In somma tutti, anche pescatori e venditori ambulanti. Grande successo. Nemmeno Beppe Grillo. La sera il grande concerto. Sul palco costruito dentro il Niger, davanti a migliaia di spettatori assiepati sulla riva che ballano come forsennati rischiando di cadere nell'acqua, si esibiscono i migliori gruppi e cantanti. Mancano solo i due più grandi Ali Farka Touré e Salif Keita. Ma, presentati da due che ricordano Cirri e Solibello, ci sono Neba Solo, i Super Biton e poi due ballerini straordinari che sembrano Dolce e Gabbana e trascinano i segoviani. Poi il clou, Babani Konè, un'incrocio tra Nilla Pizzi e Raffaella Carrà, che ci tritura le balle per più di un'ora tra il tripudio della folla, e infine il grandeHabib Koiné, chitarrista magico. Si fanno le tre. Alla fine incontro Adriano e Paola, l'Africa è piccola. Abbiamo fatto insieme un viaggio a Porto Alegre, per il Forum Mondiale. Domani si parte. Io diretto a Dakar e Malpensa. Le mie valige non so, non mi hanno ancora detto dove hanno intenzione di andare. (csf)


11.2.06

RICORDO MALI?

C'è dello sporco in Mali. Ma meno che nel resto dell'Africa, per quanto ne sappia. La plastica c'è, ma per esempio le bottiglie della minerale Diago (ma perché mi sta sulle palle questa minerale?) sono considerate ancora riciclabili come contenitori e non vengono disperse nell'ambiente. Quasi tutte le fogne sono ancora a cielo aperto, ma si comincia a fare qualcosa. A Walia, il villagio Dogon dove sono stato un paio di giorni, l'Ong che si occupa di alcuni progetti fra i quali un barrage, la scuola e la sanità, ha imposto come condizione la pulizia e sono state scavate delle buche dove viene buttata la monnezza. L'ambiente ne guadagna.

I negri puzzano. La frase è doppiamente scorretta. Ma io non ho mai considerato grave il razzismo linguistico. Che li si chiami pure negri e li si consideri fratelli. Puzzano? Sì. Ma dopo un po' ci fai l'abitudine e non te ne accorgi più. Il che vuol dire che il loro è un odore, il loro odore. Anche noi bianchi abbiamo un odore. Che magari a loro sembra sgradevole. Ma noi lo copriamo di mille profumi, caratteristica principale della civiltà occidentale. Lavarsi? Non scherziamo. Raramente ho visto gente lavarsi così spesso.

I maliani sono felici. Qualcuno mi ha rimproverato perché non ho parlato delle loro sofferenze e delle loro difficoltà. Io non sono andato in Mali per fare un'inchiesta politica e sociale. Non ho parlato con i loro rappresentanti, con le loro associazioni. Ho girato, ho visto, ho parlato. E mi è rimasto impresso il loro sorriso, la loro allegria, la loro voglia di vivere e di divertirsi. Il che non significa che stiano bene. Ma significa che non si fanno le pippe degli occidentali. Accettano quel poco che hanno con forse troppo fatalismo. Vero. Ma smettiamola di guardarli con compassione. Cominciamo a guardare con compassione noi oppressi dal superfluo.

Il Niger si estingue. Il deserto avanza e riempie di sabbia il letto del Niger. Se non si corre ai ripari il Niger un giorno scomparirà inghiottito dal deserto. Occorre guardarlo, il Niger, scivolarci sopra come abbiamo fatto noi per tre giorni, per capirne la grandezza, la bellezza, la dolcezza, la maestosità. E per capire quanto sia indispensabile.

Il popolo fossile. I dogon. Noi li vogliamo fermi, immobili. Ma loro vanno avanti. Usano secchi di plastica colorati ma noi li fotografiamo alle prese con le calebasse. Vestono sempre più spesso all'occidentale ma noi li preferiamo con le loro lunghe tuniche. Bevono birra e cocacola, ma volete mettere la crema di miglio? Fermatevi dogon, i turisti vi vogliono antichi. E loro stanno al gioco. Come gli antichi romani che si fanno fotografare davanti al Colosseo.

L'acqua. La grande presente e la grande assente. Sembra incredibile che un Paese abbia il problema dell'acqua con tutto quel Niger che lo attraversa. Il problema è che le falde si abbassano e il fiume è sempre più inquinato. E così è il trionfo dell'acqua minerale Diago che, non so perché, mi sta antipatica.

Il mal d'Africa esiste. E a me è venuta voglia di percorrerla tutta. Prendermi un'anno sabbatico dalla vita e dedicarlo a una realtà praticamente sconosciuta. Magari con un camper. Magari con alcuni di voi. Una settimana per uno. Perché no? Ma stavolta vorrei anche dei maschietti. Saluti al gineceo. E grazie al Cta, Viaggi solidali, che mi ha fatto scoprire il Mali. (csf)