Non esiste mascherina che riesca ad imprigionare il naso di Bruno Tabacci.
E’ il farmaco più costoso al mondo. Si chiama Zolgensma. Una sola dose costa 2 milioni di euro. Ma bisogna dire che ne basta una dose per salvare una vita. Basterebbe una dose per salvare la vita di Melissa che ha dieci mesi e una malattia terribile, la Sma di tipo 1, la più grave forma di atrofia muscolare spinale, una malattia che colpisce le cellule nervose della spina dorsale impedendo progressivamente la capacità di deglutire, camminare e respirare.
La Sma colpisce un bambino su 80mila. Il servizio sanitario nazionale fornisce la cura ma solo ai bambini più piccoli di sei mesi. Melissa ne ha dieci. E non è l’unica in queste condizioni. In Italia ci sono altri 13 bambini che hanno la malattia di Melissa. Quattordici famiglie stanno combattendo la loro battaglia disperata. Appelli sui social (hastag #esefossetuofiglio), lettere al ministro Speranza, organizzazione di raccolte fondi milionarie, viaggi all’estero dove le cure non hanno limiti di età.
Accanto a loro è scesa in campo Maria Grazia Cucinotta, che è diventata la madrina della loro associazione e ne parla ogni volta che va in televisione. E soprattutto rivolge appelli a tutte le persone che hanno un minimo di visibilità perché condividano queste storie e facciano sentire anche la loro voce. “Basta la firma del ministro”, dice, “E una iniezione. E si salva una vita”.
Quello che mi chiedo però, come prima cosa, è: può una medicina costare 2 milioni di euro?
da Massimo Puleo
La polizia russa ha arrestato Alexej Navalnj anche per la prossima accusa
Covid19. La Regione Lombardia ha sbagliato: aveva mandato i dati giusti.
da Mario Quaia
E Cerno? Che ne sarà del sen. Tommaso Cerno? A Palazzo Madama impazza il totoscommesse. Dopo il “Sì”, improvviso e inatteso al Governo (“Stasera torno al Pd e voterò la fiducia, Conte mi ha convinto”), sono in molti a interrogarsi sul suo futuro. Giusto una settimana prima era stato categorico: “E’ una porcata, not in my name”. Con Conte nessun feeling: di recente lo aveva definito addirittura “un becchino”. Ovvio che tutti adesso si chiedano: entrerà nella squadra di Governo? Avrà un incarico politico? Approderà in Rai non appena avrà concluso il suo mandato?
Qualcuno ha anche esclamato: Toh, chi si rivede! In effetti, il senatore era finito in un cono d’ombra dopo aver svolto un ruolo da protagonista al vertice di quotidiani e settimanali e come tale finito sotto i riflettori delle tv, ospite più che gettonato. Che è successo, dunque? Crisi di rigetto nei confronti della politica? Chissà…Del resto non aveva mai nascosto le proprie ambizioni: voleva la tv a tutti i costi. C’era anche arrivato su Rai 3 come conduttore del programma “D-day, i giorni cruciali della storia”. Le luci della ribalta lo hanno sempre affascinato. A un amico aveva confidato: “Il mio sogno? Condurre Sanremo”.
Improvvisamente, però, cogliendo tutti di sorpresa, era stato attratto dalle sirene della politica, sua antica passione. Aveva cominciato fin da giovanissimo candidandosi (senza successo) al Comune di Udine con Alleanza Nazionale. Dopo essere approdato a Roma, addetto stampa del sottosegretario Fabris (Udeur), aveva staccato la spina accostandosi al giornalismo. Un campo che si è rivelato il suo habitat ideale: colto, preparato, poliedrico (parla il romeno, è stato dirigente nazionale dell’Arcigay), e capace di grandi intuizioni si è ben presto distinto al Messaggero Veneto. Da lì all’Espresso dove diventa vicecaporedattore, poi il ritorno a Udine come direttore dello stesso Messaggero. Fa un buon giornale anche se la sua presenza a volte deborda: lo dirige da protagonista e le foto e le notizie che lo riguardano si contano a iosa. Sa che può contare sull’appoggio di Carlo de Benedetti che lo apprezza.
Dopo un paio d’anni di nuovo a Roma, alla guida dell’Espresso e nel 2017 ai vertici di Repubblica, come condirettore. Dura però poco. Qualche mese e lascia il giornalismo per la politica. Nel 2018 si candida al Senato con il Pd e viene eletto nel collegio di Milano. Due anni dopo annuncia la sua adesione a Italia Viva ma cambia subito idea e passa dal Pd al gruppo Misto. Il resto è storia di questi giorni. Ma il punto interrogativo resta: ha solo 45 anni, cosa farà da grande?
Ho avuto il Covid e sono guarito. Appena ricevuto il certificato di svincolo dalla quarantena (un documento ufficiale, eh!) ho pensato: adesso sono libero. Libero di che? Di niente, non è cambiato nulla, tutto è rimasto come prima. Anzi, no: sei penalizzato perché se chiedi di fare il vaccino ti mettono in coda: “Tu sei immune, non ti serve, hai già gli anticorpi”. Lo conferma anche Massimo Galli, il direttore del Dipartimento di malattie infettive del Sacco di Milano, ormai un volto noto della tv: “La probabilità di avere una seconda infezione è forse meno dell’1 per cento…”. Tra i Dcpm a raffica, le direttive quasi quotidiane del ministero della Sanità e delle Regioni mai una riga è stata dedicata ai guariti. In Italia sono già 1 milione e 750 mila, con un incremento giornaliero che varia dai 16 ai 20 mila. Eppure sono ignorati, è come se non esistessero. Stessi vincoli, stessi obblighi di chi mette in atto tutte le precauzioni per evitare il contagio. Per la strada, nelle fabbriche, negli ospedali, ovunque, non esiste alcuna corsia preferenziale. Devi andare all’estero? Hai l’obbligo di fare il tampone, anche se disponi del test sierologico che attesta la presenza di un esercito di anticorpi. Devi tornare in Italia? All’aeroporto, se vuoi evitare l’ennesimo tampone, devi dichiarare il falso, ovvero che ti sottoporrai a 14 giorni di quarantena fiduciaria. La possibilità che tu possa essere guarito e, quindi, immune non è nemmeno presa in considerazione. Un classico: becchi e bastonati.
da Eric Ranzoni
Stamattina qui a Londra dalla mia finestra ho visto questa scena; il postino (senza mascherina) viene goffamente malmenato da due ragazzini (senza mascherina) che lui aveva scoperto scavalcare un cancello. Una volta fuggiti lui chiama la polizia. Arriva la pattuglia, escono tre poliziotti, senza mascherina, e cominciano a parlare con la gente che si raduna attorno, tutti senza mascherina. Tutti a parlare a lungo a distanza ravvicinata l’uno con l’altro come se la pandemia non fosse mai esistita, nella citta’ piu’ pesantemente colpita in Europa dalla nuova variante del virus che ha fino al 70% di contagiosita’ in piu’.
Sai che ti dico? Exit! (csf)
Il 18 novembre del 2010 scrissi e pubblicai su questo blog un piccolo post che vado a ripetere e poi vi spiegherò il perché.
“Il tritacarne mediatico, la giustizia ad orologeria, la macelleria sociale, l’onestà intellettuale. Ci sono frasi che non sopporto più. Qualcuno le ha pronunciate una volta e adesso tutti imitano. Sembra che gli italiani abbiamo improvvisamente perso la fantasia. E non solo la gente normale, o magari i politici. Anche i giornalisti hanno abdicato al loro mestiere e non vogliono far fatica. Leggo di plessi scolastici, di squadre che vincono e non si cambiano, di partite deludenti dal punto di vista tecnico e agonistico. Non ne posso più di articoli che dicono che a pensar male si fa peccato come disse Andreotti. Odio le conventicole, i combinati disposti, quelli che fanno la differenza. Sento che finirò al nosocomio. Dove? Al NOSOCOMIO”.
E’ una battaglia che combatto da sempre. La battaglia contro il luogo comune. Cioè contro la pigrizia di chi non vuole fare la fatica di pensare frasi originali e si attacca a modi di dire inventati da altri ed adottati dalla maggioranza. Se c’è qualcuno fra voi che mi segue, sa che raramente (mai dire mai) ho scritto cose come “non si possono usare due pesi e due misure”, “ha iniziato un percorso”, “non so come dire”, “bisogna fare un discorso di un certo tipo”, “facevano bella mostra di sé”. Ai tempi della contestazione non c’era assemblea studentesca in cui prima o poi non si alzasse qualcuno a dire pomposamente: “Il problema è politico e in quanto tale va affrontato”.
Sì, vabbé, direte voi, ma tu che vuoi? Dove miri?
Miro soprattutto ad approfondire ed a scoprire i motivi di uno strano avvenimento di cui mi sono reso conto recentemente. Voi tutti sapete che Internet consente grandi miracoli. Per esempio consente di scoprire quali post sono stati fra i più visitati in un blog. Questo blog esiste da una ventina di anni. Sapete quale è stato il post più visitato di sempre? Quello di Alessandro Ceratti, intitolato “Onestà intellettuale (significato)”. L’ho scoperto un paio di giorni fa. Era il 29 maggio 2009. Questo era il testo dell’ottimo Ceratti:
“Secondo me onestà intellettuale significa essere capaci di riconoscere le ragioni (magari parziali) delle posizioni a cui ci si contrappone, significa valutare (magari negativamente) per quello che è e non per il simulacro che ce ne si ne fa le posizioni a cui ci si contrappone, insomma semplicemente fare di tutto per avere ragione, il che significa abbandonare rapidamente le posizioni sbagliate quando ci accorge che sono sbagliate, anche se sono le nostre posizioni, e anche se sono posizioni che ci fanno comodo”.
Bene, bravo. Condividiamo. Una valanga di visualizzazioni. Magari se le meritava. Ma sapete qual è il problema? Il problema è che queste visualizzazioni continuano ancora oggi. Ancora oggi il frutto della mente creativa di Cerrati è in testa alle classifiche. Da allora migliaia e migliaia di persone, per saperne di più, magari spinte da qualche improvvido motore di ricerca, si sono fiondate sul post di Alessandro Cerrati. A una media ancora nell’ultimo anno, di 25 al giorno. Media che non accenna a diminuire. Ancora ieri i desiderosi di addentrarsi nel “cerratipensiero” sono stati 32. Che cosa c’è dietro? Non lo so. Che sia lo stesso Cerrati che vuole entrare nel Guinness dei primati o, in alternativa, almeno nella storia?
Alla discussione su quale sia il significato di “onestà intellettuale” presero parte, allora, i migliori cervelli del blog, da Gianni Guasto a Natalino Russo Seminara, da Carlo Urbani a Primo Casalini, da Francesco Flavio D’Urso a Muin Masri. Io vorrei concludere questa inutile dissertazione con la frase lapidaria di Carla Bergamo (31 maggio 2009): “Io mi considero intellettualmente onesta. E con questo chiudo la discussione”.
da Muin Masri
Avete presente quel tizio che entra nello stadio travestito da tifoso, poi aspetta il momento cruciale per stracciarsi le vesti e correre nudo come mamma l’ha fatto lungo il campo da gioco? Gli addetti ai lavori lo rincorrono, l’arbitro si ferma incredulo, i giocatori ne approfittano per una pausa fuori programma e il pubblico è mezzo divertito e mezzo incazzato. Ecco, Matteo Renzi ha appena attraversato il campo di gioco nudo come la politica lo ha creato, un minuto prima del decisivo calcio di rigore.
Bellissima immagine: Renzi nudo a Montecitorio. Ma chi è l’arbitro? Chi sono i giocatori? Chi tenta di bloccarlo e soprattutto: chi vince? (csf)