da Valeria CarellaIo non credo che essere bravi giornalisti voglia dire essere umanamente asettici, e che i bravi conduttori di una trasmissione di (ottimo, per quanto mi riguarda) giornalismo televisivo per contratto debbano non avere un’idea propria. Facile gioco quello di alludere a un Santoro sbilanciato a favore dei palestinesi, perché – signora mia – a sinistra si portano tanto. Io ho visto una trasmissione che ha scelto di bandire la retorica e che ha voluto farci ascoltare persone coinvolte anche sentimentalmente – e pure questo vale sull’altare della credibilità – alle sofferenze dei palestinesi come a quelle degli israeliani (e mi riferisco dapprima alle ospiti in studio: due giornaliste, due donne, una palestinese e l’altra israeliana); i reportage invece – trattandosi di una trasmissione di approfondimento giornalistico e non di analisi storiografica – non poteveno che raccontare la mattanza dei palestinesi, perché adesso è questo quello che accade. Oggi come ai tempi dei rastrellamenti in Kosovo, ottimo Santoro a trattare questioni scottanti, che latitano nelle trasmissioni di prima serata. La Annunziata ha detto e ridetto la propria, dissociandosi a più riprese, col piglio/cipiglio che aveva ai tempi in cui faceva la presidente della Rai. Chissà, forse è da quella esperienza che ha tratto l’abilità delle uscite teatrali e a favore di telecamere.
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