di Muin Masri
Beffardo questo destino, non ti lascia scelta. Per essere davvero felice bisogna vivere per finta. I primi ventitre anni (quelli della giovinezza, i più belli, spensierati. Così dovrebbero essere per tutti) li ho consumati sotto l’occupazione militare: niente intimità né diritti, nemmeno un letto dove dormire un’intera notte senza paura. Per non impazzire non resta che fingere di stare bene e che il domani sarà migliore, sicuro, dove tutto è possibile. Anche una fottuta pace. Qualcuno, ottimista di suo, aveva detto: “Tra uccidere o morire c’è una terza via, vivere”. E così la voglia di vivere per davvero ti porta lontano da quella casa occupata, dal tuo letto che sa di pipì e di incubi. Ricominciare tutto da capo in età adulta ha i suoi vantaggi: pochi sbagli e tanti sentimenti veri, amori, amici e, nel pieno della forza fisica e mentale, cominci a costruire un sogno chiamato casa, a dipingerla di colori fantasiosi, blu cielo e rosa liberty. Quanta fatica e sacrifici spesi in tutti questi ultimi venticinque anni per poter dormire su un letto asciutto e sentirmi felice. E poi arriva un tizio, un militante, un dirigente di partito, un capo di stato che tuona, dall’alto dalla sua ignorante arroganza: “Gli stranieri sono il vero problema di questa paese”. Beh, non ti rimane che una cosa, urlare: “Questa è casa mia, cercate un’altra scusa per giustificare la vostra vita, vera e infelice. Io continuo a fare finta di non sentirvi”.
Nessun commento.
Commenti chiusi.