Cara Contessa, l’articolo in cui Giorgio Bocca si lamentava perché gli extracomunitari non sanno cucinare in maniera decente il bollito e non sanno servire a tavola e non sanno accudire come dovrebbero i bambini ha suscitato un po’ di commenti negativi. Ma noi solo sappiamo quanto egli abbia ragione. Bisogna dirlo con coraggio: gli immigrati pensano solo a fare soldi e non li spendono nemmeno in Italia perché li mandano nei loro Paesi di origine con la scusa che le loro famiglie ne hanno bisogno. Mangiano, bevono e dormono in Italia. Ma risparmiano a casa loro.
Marocchini, turchi, tunisini, rumeni vengono in Italia per arricchirsi e non pensano ad altro. Non giocano a canasta, si rifiutano di iscriversi ai tornei di polo, non leggono l’Espresso e non frequentano i corsi di sommellier. Ma non basta: cucinano i loro orrendi brique a l’oef, tentano di ingozzarci con il cous cous e di influenzare la nostra cucina con gli involtini primavera. Passi per il sushi, che alle feste sulla mia terrazza va sempre forte. Ma quelli friggono come vogliono, condiscono come vogliono, insaccano e mettono in savor come vogliono. Mai uno che tentasse di fare una fonduta come dio comanda.
Sapesse Contessa quante ne ho dovute subire: la cuoca che mi si presenta col burka e mi spaventa il cirneco dell’Etna, l’autista che si ferma sei volte al giorno per pregare anche in pieno centro, il giardiniere che pianta solo palme da datteri anche nella mia villa di Sankt Moritz.
L’immigrazione di massa ha fatto scomparire la cultura della cottura. Ho avuto un boero, un derviscio, un watusso, due gemelle kazake, un vecchietto kirghiso e una ragazzetta dogon: mai uno che sia riuscito a scolarmi le trenette al dente. O crude o sfatte. E il pesto? E la pajata? E il vin brulé? Ma che cosa insegnano nelle scuole filippine?
Lei mi dirà: ma perché allora tanti italiani vanno nei ristoranti etnici? Ma ci vanno quando vogliono, una volta al mese. Questi invece hanno invaso le nostre cucine. E quando ci serviranno serpenti e cavallette?
Non basta. Questi immigrati pensano solo a guadagnare di più e a lavorare di meno. Per carità, io non sono razzista, ma debbono guadagnare quanto le colf italiane? Forse è inevitabile, è necessario, ma non è piacevole.
C’è poi l’aspetto più sgradevole: gli immigrati non vogliono integrarsi. Non vanno a messa, non leggono Baricco, non fanno il tifo per l’Inter, se ne fregano del palio di Siena e non ascoltano Vivaldi. Insistono a volersi frequentare, nei piazzali davanti alle stazioni, come fosse casa loro, scambiandosi pettegolezzi sui loro parenti rimasti a casa.
Lei mi dirà, Contessa, che ci fanno comodo, fanno i lavori più umili, gli orari più incredibili. E’ vero. Sopportano soprusi e violenze da parte nostra che essendo i padroni di casa siamo i maggiori colpevoli. Ma vogliamo anche dire che se siamo diventati violenti, intolleranti, egoisti e stronzi, la colpa è loro? Come diceva una mia amica duchessa : “Non sono io razzista, sono loro che sono negri”. (csf)
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