da Repubblica.it
POCHE ore prima dell’attacco “shock e terrore” su Bagdad il vicepresidente Dick Cheney scosse la testa con quella sua aria da maestro alle prese con bambini molto ottusi e disse in televisione: “Quanto durerà la guerra in Iraq? Parliamo di settimane al massimo, non di mesi”. Rumsfeld, il suo braccio armato al Pentagono, gli fece eco poco dopo: “Sei giorni, sei settimane, dubito sei mesi”.
Era il 19 marzo del 2003, quando la banda degli infallibili, quei neo-spartani dell’Amministrazione Bush che non sbagliavano mai fecero queste previsioni e oggi, lunedì 27 novembre, la guerra in Iraq ha raggiunto e superato i 1.348 giorni.
La “guerra dei sei giorni” che Cheney e Rumsfeld avevano promesso all’America, sognando quei rapidi e decisivi trionfi che le armate israeliane avevano saputo conquistare, è diventata più lunga della Seconda Guerra Mondiale, che terminò nella baia di Tokyo con la resa giapponese dopo 1347 giorni dall’aggressione a Pearl Harbor, più lunga della Guerra in Corea, ormai prossima a raggiungere la Guerra Civile, che consumò 1.460 giorni e bene avviata sulla strada del Vietnam se quello che ha detto Bush a Saigon, pochi giorno or sono, non è un’altra fanfaronata: “In Vietnam perdemmo perché abbandonammo la lotta”. CONTINUA…
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