Dossier numero sette27 settembre 2006
I cani di Salina sono cani particolari. Sono tutti molto simili, media taglia, color giallo cane (quasi tutti), aria indipendente ma cordiale. Sono sempre in giro, tra le case ma anche sulla montagna e spesso adottano un turista e lo accompagnano nelle sue passeggiate. Nulla di servile nel loro comportamento. Non hanno l’aria pigra del sud ma nemmeno l’atteggiamento da schizzati del nord. Hanno un muso affilato e uno sguardo incuriosito e intenso. Appaiono interessati alla vita e camminano decisi, come se avessero sempre una meta, come una massaia al mercato. Girano spesso in coppia e non disdegnano la ricerca delle coccole ma sempre con dignità. Quando fa molto caldo può capitare di trovarli in acqua a fare il bagno. Loro se ne fregano delle meduse. Hanno un andamento libero, come se fossero randagi, ma hanno sempre un padrone, solo che passano la giornata come se non ce lo avessero. Se vi capita, leggete “Il cane che andava per mare”, di Stefano Malatesta. E’ un racconto molto bello che parla appunto di un cane eoliano che aveva imparato a viaggiare fra le sei isole usando aliscafi e navi dei quali, evidentemente aveva imparato gli orari. Leggenda vuole che una volta fosse andato anche a Napoli con la motonave Lipari. Sempre la leggenda sostiene che, giunto ormai alla soglia estrema della sua vita, preferì scegliere la modalità del trapasso. Prese una delle navi e giunto al largo si buttò a mare. Non so se la storia corrisponda a realtà, ma conoscendo i cani eoliani, la trovo verosimile. La prima volta che arrivammo a Salina ci venne incontro un cane del tutto eoliano ma nero con piccola macchia bianca sul collo. Ci adottò e cominciò ad accompagnarci nelle nostre passeggiate. Non accompagnava solo noi. Un giorno lo incontrammo in cima al monte delle Felci insieme ad altri due escursionisti. Lo ribattezzammo Rocky e cominciammo a considerarlo un po’ nostro. Quando partivamo ci accompagnava alla nave e quando tornavamo lo trovavamo miracolosamente sulla banchina e naturalmente pensavamo che stesse aspettando noi. Un giorno, durante una delle quotidiane passeggiate tra Lingua e Santa Marina, si buttò fra i cespugli e rimase bloccato sul ciglio di un burrone con la sua zampa sotto una radice affiorante. Cominciò a guaire come un pazzo, naturalmente lo salvammo con atto eroico di un contadino che passava. Lui riprese la passeggiata dapprima zoppicando e poi, quando vide che non serviva più, correndo allegramente. Due anni fa non lo trovammo più ad aspettarci sulla banchina e noi ci convincemmo che qualcuno gli aveva raccontato la storia di Stefano Malatesta. Quest’anno frequentiamo un cane nuovo, si chiama Dotto (perché è stato trovato vicino all’acquedotto) e gira sempre insieme a Rocco (il cane di Carlo Hauner) ed Eva (interessata – sembra – ad entrambi). Dotto è simpaticissimo ed allegro. Non ha quel fatalismo tipico dei cani eoliani ed infatti guardando i suoi occhi chiarissimi ti rendi conto che deve essere figlio di Willy, l’husky di Alfredo (il granitaro). Dotto viene a trovarci, resta un po’ sul terrazzo con noi, ci accompagna in brevi passeggiate e poi se ne va. Spesso si siede davanti a noi e comincia a guardarci piegando la testa un po’ a sinistra. Sembra volerci parlare ma questo fa parte della deprecata ma gradevolissima tendenza ad umanizzare la bestia. In realtà Dotto vuole solo le crocchette del gatto, Euromicino, che a volte viene a far colazione quassù.
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