20 gennaio: nei paesi Dogon
Sveglia con sorpresa: ho lasciato la videocamera accesa e adesso è scarica. Dramma. Che fare? Caricarla col fuoco non è possibile e nemmeno con la lampada a petrolio. Cerimonia ufficiale con il consiglio dei saggi al gran completo. Quello che si dice scambio culturale. Il luogo che finora mi ha più impressionato è la “casa della parola”, dove si riuniscono i vecchi saggi del paese insieme all’hogon (il capo spirituale del villaggio secondo la tradizione animista). Si tratta di una specie di tettoia molto bassa, sotto la quale si può stare solo seduti. Quando i vecchi saggi si riuniscono per decidere qualche controversia il tetto basso impedisce che gli animi si possano riscaldare troppo. Appena uno, incazzato, si alza e comincia ad urlare dà una grande capocciata sul soffitto e si placa.Ottimo sistema democratico contro i prepotenti e i focosi. Vi immaginate Sgarbi? Finite le cerimonie accetto la collaborazione di Ousmane che mi offre suo fratello Mamadou per accompagnarmi in motocicletta a Bandiagara per caricare la videocamera. 35 km su una moto scassata su una pista di sabbia con pendenze anche del 19 per cento. Vi dico solo questo: un’esperienza. Io posso dire: l’ho fatto. Tralascio tutte le salite che ho dovuto fare a piedi perché la moto non ce la faceva. Tralascio la paura delle curve su pista sabbiosa. Tralascio il tolondulé (si scrive così?) che sui motociclisti si traduce in un metodico tritamento di palle. Tralascio che appena siamo partiti Mamadou si è fermato da un meccanico (meccanico è una parola grossa) per stringere tutti i bulloni per non perdere pezzi. Tralascio il fatto che ogni volta che dicevo: “Pas vite. Doucement”, Mamadou accelerava. Dico solo che sono state tre ore di andata e ritorno da cagotto. Intervallate da un pranzo favoloso all’Hotel La Falaise di Bandiagara. Couscous col montone. Mi chiedo: che cosa starà facendo in questo momento la Prestigiacomo? Il ritorno ha riservato ulteriori sorprese. Dopo dieci chilometri la moto di Mamadou ha bucato. Guardo la ruota davanti e capisco. Lo pneumatico è tenuto insieme da una gomma che lo fascia come una benda. Mamadou scompare nella brousse alla ricerca di un gommista. Un gommista nella brousse. Io mi avvio sulla pista a piedi. In fondo cono solo 25 chilometri. Dopo dieci minuti mi supera uno in bicicletta. Mi dice: “Se mi dai 5 mila franchi ti accompagno a Waila”. Come? “A piedi”. “Bene, gli dico, se mi dai 5 mila franchi ti accompagno a Waila io”. Se ne va. Dopo venti minuti mi superano bambini. Mi dicono che forse passa un autobus. Quel forse vuol dire che non passerà nessun autobus. Dopo un’ora (di Mamadou nessuna notizia, si è perso nella brousse) arriva Saidou, in motocicletta. Mi carica e parte. E’ una specie di pilota della Paris-Dakar. In un attimo arrivo a Waila in tempo per una festa locale, canti e balli. Scopro che la gente quando si saluta comincia una litania lunghissima. Il primo dice: “Amau udiere”. L’altro risponde : “Po”. Poi in una specie di delirio: “U seoma”, “Seo”, “Umana seoma”, “Seo”, “Uana”, “Po”, U seoma”, “Seo”, “Umana seoma”, “Seo”, “Uana”, “Po”. In pratica passano un casino di tempo a salutarsi. Ho assistito all’incontro di tre donne con altre tre donne, sembrava la Traviata. Mi chiedo: in questo momento che cosa stara’ dichiarando Isabella Bartolini?
21 gennaio: nei paesi Dogon
Partenza per il trekking. Da Waila a Ende a Yabatalou a Benigmato. Fermata al mercato settimanale di Doujourou. Settimanale per modo di dire perché la settimana Dogon è di cinque giorni, l’anno di dieci mesi e il mese di 25 giorni. Tanta sabbia, tanto caldo ma le mie dodici donne si comportano bene. Mentre arranchiamo per salire sulla falaise ci superano alla grande donne peul e dogon trasportando grandi carichi sulla testa e allattando i loro bambini. Andiamo a visitare le case degli antichi Telem, quelli che abitavano qui prima che i Dogon li cacciassero. Sono dei buchi scavati nelle pareti a picco della falaise. Abitavano qui per evitare di essere mangiati dai leoni e dalle pantere che abitavano la sottostante foresta. Per tornare a casa dovevano arrampicarsi in parete con l’aiuto di corde. Una vita da free climber. Oggi i Dogon usano le loro vecchie case per seppellirci i loro morti. Sempre con le corde. Cadaveri alpinisti. Arriviamo in cima alla falaise un po’ stracchi ma felici dopo aver oltrepassato un miracoloso giardino dell’Eden coltivato a cipolle in fondo a un canyon. Ieri siamo stati improvvisamente raggiunti dalle valigie. E’ stata un’emozione. Sono arrivate le valigie di Luisella, di Paola, di Annette. Le mie due sono ufficialmente disperse. Continuo a rimanere nudo e tecnologicamente avanzato. Prima o poi qualcuno di voi dovrebbe farmi arrivare qui le ultime dichiarazioni di Buttiglione. ULTIME NOTIZIE: UNA MIA VALIGIA SI E’ COSTITUITA ALL’AEROPORTO DI BAMAKO (csf)
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