19 gennaio: villaggi Dogon
Viene un momento in qualsiasi vacanza di gruppo in cui si affronta l’argomento principe dei viaggi: la cacca. Il tabù resiste cinque o sei giorni. Tutti fanno timidi accenni ma nessuno affronta il toro per le corna. C’è chi si assenta ogni venti minuti adducendo scuse puerili e chi vedi sofferente ma silente per il problema contrario. Non abbiamo derogato alla regola. Ieri la questione è scoppiata in tutta la sua complessità. E abbiamo finalmente sostituito le tematiche femministe, terzomondiste, solidali, antiamericane e filoberinottiane con un bel dibattito sulla cacca. Il risultato è stato ottimo. Posso comunicare ufficialmente ai lettori di queste note che non c’è cacarella nel gruppo e che il massimo di stitichezza presente è di un paio di giorni. Ma siamo stati anche rassicurati: il caso più preoccupante è stato risolto e il soggetto in questione ci ha rassicurato: “Ho prodotto una bella pallotta di cammello”, ci ha detto raggiante. D’altra parte dice un proverbio Dogon: “Beato l’uomo che trova una donna bella, forte, lavoratrice e che fa una bella cacca”. Temo l’avvio di un approfondito dibattito sulle mestruazioni. Lo sento avvicinarsi. Oggi in pulmino c’è stato qualche accenno ma l’argomento sembra non ancora maturo. Riferirò in seguito se del caso. Visita a villaggio Sango, il primo dei paesi Dogon che vediamo. Qui la Banca Mondiale o il fondo monetario internazionale, non ho capito bene, ha costruito un campement (dicesi campement una specie di pensioncina che può andare da una costruzione con camere e bagni a un semplice recinto in cui si posso sistemare tende o dormire sotto tettoie), ha realizzato un impianto di energia solare e un pozzo con annesso serbatoio di acqua. Perché a Sango? Perché ci sono delle pitture in una specie di grotta dove i bambini venivano e vengono portati per la circoncisione. Il paesino ( che è ancora lontano dalla Falesia dove vivono la maggior parte dei Dogon dopo aver scacciato, secoli fa, i Telem) è affascinante e magico. Vediamo per la prima volta i celebri granai dove vengono conservati miglio e tesori familiari e dai quali provengono le bellissime porte intagliate in legno. A Bandiagara mangiamo. Nel primo paese Dogon, Myala, ci fermiamo nel campement di Ousmane, che da oggi affianca la nostra guida italiana. Veniamo ricevuti da ovazioni e da presentazioni ufficiali dei vecchi saggi del paese. Rimediamo una specie di stanza. Rimandiamo a domani la visita del villaggio. E decidiamo di andare a dormire. Continua nel frattempo la saga delle valigie. Le notizie ci inseguono. Anche il bagaglio ci insegue. Ormai l’abbiamo chiamata la sindrome delle valigie impazzite. Sembra che abbiano acquistato una loro autonomia. Vengono date per avvistate in mezza Africa. Ogni tanto mi scopro a sospettare sguardi ironici in qualche Barbara locale come se avvertisse anche lui il mio dramma e sapesse perfettamente dove sono le valigie e ne conoscesse una misteriosa maledizione locale, una macumba del bagaglio. Perché il bagaglio ci insegue, questo è certo. Noi eravamo a Tombouctou e lui veniva segnalato a Bamako. Quando noi siamo arrivati a Sevaré almeno quattro valigie erano state viste con certezza a a Mopti. Noi siamo andati a Bandiagara e le ciniche valigie hanno fatto un balzo a Sevaré. E’ fastidioso essere inseguiti dal proprio bagaglio. Ogni tanto sento il fiato del mio trolley sul collo. Sembra ormai certo che le valigie ritrovate siano quattro su sei. Poiché Luisella ha perso la sua unica valigia, Paola le sue due e noi le nostre tre è ormai in corso un complesso gioco matematico che somiglia a quello di chi voleva far traversare un fiume su una canoa un lupo una capra e un cavolo. Io sostengo che per creare il minimo di infelicità è meglio se le quattro valigie che ci inseguono sono le mie tre e quella di Luisella. Piangerà solo Paola. Ma se io ne ho persa una e Luisella o Paola l’altra, si piange in due. Poi arriva la notizia drammatica. Quelle di Paola e di Luisella sono in buona salute e delle mie solo una. E così continuerò a viaggiare vestito come un tuareg. Nel frattempo ho rimediato un cappello dogon col quale faccio la mia porca figura. (csf)
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