LE VOCI, CHE SMENTIAMO, SUL PATTO BERLUSCONI-CARROCCIOIl contratto con i padani (dal notaio?)
Qui ci vogliono notizie certe. Ieri Bossi restava nel governo, tra due giorni chissà. Tutto deve accadere perché nulla accada. I giorni passano e i giornalisti, miseri e tapini, si sono abbastanza stufati di dover rincorrere l’ultima dichiarazione di Buttiglione, la replica di Pisicchio e persino le romantiche esternazioni di Zeffirelli. Un po’ di chiarezza, poi, servirebbe a tutti. Anche allo stesso Bossi, onde evitare che sulla base del dilemma «ce ne andiamo, no ci cacciano» si diffondano voci non proprio carine sulla sua autorevole persona. Mettiamo quella raccolta ieri dal Riformista, che riguarda un aspetto forse marginale, ma certamente importante, del rapporto umano (?) e politico che lo unisce a Berlusconi: i soldi. Secondo alcuni rumours raccolti nella maggioranza, infatti, il Carroccio non potrebbe permettersi di mollare la Cdl senza provocare pesanti conseguenze al bilancio del partito. Secondo queste fonti, il Cavaliere si sarebbe impegnato a garantire alcuni prestiti alla Lega, a patto che il Senatur non esca dall’alleanza. Qualora decidesse di andarsene, il Carroccio dovrebbe restituire con effetto immediato i denari imprestatigli, utilizzati nel frattempo per finanziare i media leghisti, a cominciare dalla radio e dalla tv di partito, fino ad arrivare al quotidiano la Padania. L’impegno sarebbe stato formalizzato nell’aprile del 2000, con un contratto siglato davanti al notaio tra il Cavaliere e il Senatur, allora spacciato ai media – secondo i malevoli – come patto tra gentiluomini. Perché di contratto si tratterebbe, oltre che di accordo politico: altrimenti che bisogno ci sarebbe stato di firmarlo davanti a un pubblico ufficiale? Soltanto per sottoscrivere il ritiro delle querele di Fi versus Bossi?La Lega nulla dovrebbe, invece, se venisse allontanata. Il contratto prevederebbe, infatti, che in caso di rescissione da parte di Berlusconi, il Carroccio trattenga definitivamente i prestiti elargiti. Secondo i maligni, è per questo che Francesco Speroni – additato come mentore dell’operazione – ripete sempre il seguente ritornello: «Non usciamo dal governo perché non siamo noi a violare il patto elettorale. Nel patto la devoluzione c’è, l’interesse nazionale no, e nemmeno l’indultino e la riforma delle pensioni. Sono io che chiedo agli alleati: chi è fuori dagli accordi?». Forse che la devolution sia anch’essa prevista per contratto? Forse che, se mandati via, i leghisti potranno chiedere il mantenimento?L’abbiamo detto, sono solo voci. E anche maligne. Che smentiamo subito. Perché se fossero vere autorizzerebbero qualcuno a dire che il presidente imprenditore, oltre che nel contratto con gli italiani, sarebbe parte in causa anche nel contratto con i padani.
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