Leggo che Bertolaso ha detto che è disposto a farsi da parte solo se il nome prescelto sarà quello di Marchini. Ma non aveva detto la stessa cosa nel caso si fosse presentata la Meloni?
IL DITO MEDIO DEL CACTUS
UNA VOLTA QUI ERA TUTTA CAMPAGNA
NEI MOMENTI DIFFICILI IL CONDOTTIERO INDICA LA DIREZIONE
A QUESTI PUNTO VI CONSIGLIO DI MANGIARE SCIAPO
SEMBRAVA DI STARE AD HOLLYWOOD
COMUNQUE MI SONO DIVERTITO UN CASINO
QUANDO SI VEDE LA TEMPRA DEL VIAGGIATORE
APPASSIONATI DI UN GIORNO DA PECORA NELLA CAPPELLA DI HORNADITAS.
A VOLTE QUESTI CACTUS MI SEMBRANO DEI CAFONI.
LA CABINA TELEFONICA DI CLARITA E GABRIELLA.
ANCHE QUI APPENA MI VEDONO MI DANNO QUALCOSA DA FARE.
CI SONO DEI MOMENTI IN CUI MI SENTO PICCOLO PICCOLO.
LAMA O NON LAMA?
Una giornata con la famiglia Lama. Solo adesso scrivendo mi rendo conto dei collegamenti che avrei potuto fare con la storia del sindacalismo italiano. Invece ho pensato solo alla bellezza di poter dividere otto ore con loro, con Hector, con Clarita, con Gabriella, con Carolina, contadini di Hornaditas, comunitå a nord di Humahuaca, e con tutti gli amici che sono venuti a trovarli Tutto questo significa turismo campesino e vuol dire mangiare con loro, condividere un pezzo minimo della tua vacanza passeggiando con loro e chiacchierando con loro. Carolina, la piccolina, ha suonato il siru, Hector, il papà, mi ha accompagnato a vedere la sorgente dell’acqua che alimenta il canaletti di irrigazione del suo orto e nel frattempo mi ha indicato il nido dell’aquila con annessa aquila, sopra lo sperone di roccia, e nel frattempo mi ha raccontato della grotta lì vicino (tre ore a piedi) dove i nativi hanno lasciato molti disegni scolpiti nella roccia a perenne ricordo della loro esistenza. Clarita, sua moglie, la dolce Clarita, ci ha fatto mangiare i frutti del suo orto e della coltivazione del mais, il cioclo, Gabriella, la figlia, mi ha accompagnato in una passeggiata per vedere la cappella tutta decorata dai disegni della mamma. E tra una chiacchiera e l’altra, che per me voleva dire anche una stupenda lezione di spagnolo, un fantastico dolce di miele, un infuso di erbe che non voglio nemmeno sapere, e tanti accenni a quanto questa vita renda felici Hector e Clarita. Inoltre tante nuove conoscenze che purtroppo rimarranno quasi sicuramente solo un ricordo. Dall’agopuntore di Buenos Aires, alla sua compagna psicoanalista, a Matias, insegnante di chitarra di Hector e alla sua ragazza. Paolo con sua moglie e suo figlio Insomma, come ve lo devo dire? Me gustó mucho anzi muchissimo.
Tranquili: la giacca a vento gialla è tornata al suo legittimo proprietario. Qui non si perde niente. Passata la giornata a Purmamarca, ubriacato dai sette colori delle montagne, sono di nuovo sul “colle”, come viene familiarmente chiamato il collectivo, l’autobus, in direzione di Tilcara. Ho appena incontrato Luciano, fotografo di Viterbo. Poi all’arrivo a Tilcara incontro Ute, tedesca di Westfalia che mi lascia perplesso: viaggia con un mini zaino. Chiedo spiegazioni e la risposta mi lascia perplesso: non c’è bisogno di niente per viaggiare. Ma forse è il mio spagnolo che ha qualche défaillance. Con Ute andiamo nella città antica Pukara, mezza ricostruita e mezza no, su un colle costellato di cardon, un cactus che può assumere anche dimensioni enormi e che viene anche usato come legna da costruzione, da carpenteria e da mobilificio. Ute entra dentro tutte le decine di case di pietra ricostruite nelle quali non c’è assolutamente niente e ci rimane interminabili minuti. Forse è il sole cocente che la ispira. Un attimo e le nostre sue strade si dividono e si perdono. Io penso che contro il sole cocente non c’è niente di meglio che andarsene a Humahuaca. Ma prima faccio una breve visita al giardino botanico attirato da una grossa “perda campanaria” che ha un suono incantevole. Ed è subito Humahuaca. Paesetto incantevole con solito mercatino e tanti ristoranti e tanti albergherei. Io vado nel pallone e scelgo il peggiore. Non bastasse finisco in un ristorante dove due cantanti suonatori mi fanno andare di traverso lo stufato di Cordero. Passo la giornata girovagando per le stradine. L’ufficio del turismo non mi dà grandi suggerimenti. Peccato perché con una escursione di sole tre ore si poteva arrivare ad un mirador dove era possibile dare un’occhiata ad un paisaje fantastico: le montagne dai quattordici colori roba da far morire di morbillo quelli di Purmamarca. Humahuaca ha una quantità incredibile di cani simpaticissimi di ogni razza. Ti si appiccicano addosso e non ti mollano mai. C’è il sospetto che abbiano fame ma io preferisco pensare che cerchino compagnia. Appena mi siedo su una panchina arriva un cane che si accuccia sotto e non se ne va finché non me ne vado io. Anche queste sono soddisfazioni. Spero che Billie, la mia pastora australiana, non legga queste note.
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Dopo la botta di vita all’Isasmendi di Molino cerco un taxi compartido ma è troppo tardi sono tutti pieni. Continuo con la mia vita da nababbi e prendo un taxi solo per me alla pazzesca cifra di 35 euro. Ne vale la pena perché la strada è bella. Mi sono dato una regola. Quando la tappa è di trasferimento va bene il bus. Quando il paesaggio vale è meglio il taxi compartido che si ferma se vuoi fare delle foto. E se il taxi compartido non c’è, crepi l’avarizia, si vive una volta sola. Arrivato a Cachi faccio il bravo turista e vado alla pro loco nella grande piazza centrale. Chiedo dove andare a dormire e mi propongono due alberghi. Uno costa 350 e l’altro 150. Ricordo che 150 pesos sono 10 euro. Scelgo 350. Si chiama Don Arturo. Vado, mi registro, pago è solo allora mi accorgo che esistono due Don Arturi, un hospedaje e un hostal. Uno antico bello e di charme e l’altro nuovo, moderno e freddo. Indovinate quale ho scelto? Non è la mia giornata. Tutto felice perché non ho ancora perso nulla da quando sono in Argentina, primato mondiale, mi accorgo che ho lasciato il rarissimo caricatore dell’IPhone 6 nel lussuoso albergo di Molino. Incautamente dico fra me e me: me ne frego, ne ho portati due. E all’istante perdo anche il secondo e ultimo. Sono a terra. iPhone scarico, IPad scarico. Posso caricare la mia batteria esterna ma poi non ci posso attaccare nulla per mancanza di cavo. Mi aggiro disperato nella notte di Cachi. Nel paese è assolutamente impensabile , mi ha detto il ragazzo dell’albergo don Arturo brutto, che possa trovarsi un cavetto per IPhone 6, che dio stramaledica la Apple. Pensando alle foto che non farò domani mi fermo davanti ad una vetrina (ebbene sì, a Cachi esistono le vetrine) e lo vedo: è lui, è il cavetto e mi guarda. Vicino a lui c’è un altro cavetto. Mi precipito piangendo dalla commessa, li compro tutti e due lasciandola interdetta, il tutto per 7 euro. In Italia nemmeno i cinesi…vado a letto tranquillo con tutte le lucette accese.
Lascio Cafayate con l’autobus del Flecha Bus che parte con un ora e mezza di ritardo. Mi sento quasi come in Italia. Da Cafayate ad Angastaco, sempre ruta 40, strada da sogno in mezzo alle montagne. Tanto bella che la zona è stata battezzata Monumento Naturale di Angastaco. Ad Angastaco fine corsa, pranzo al comedor Pachamama (Madreterra) con milanesita nemmeno male a 65 pesos, cinque euro. L’unico alloggio (ospedaje) è poco attraente. Allora insieme a due ragazze di Barcellona, Priscilla psicologa e Natalia assistente sociale prendo una camioneta e proseguo. A Molino io mi fermo. Mi sistemo in un lussuoso albergo (Isasmendi) che sembra un convento, di fronte alla chiesa. Adatto per rilassarsi. Mangio e bevo benissimo e spendo pochissimo (12 euro). Dormire come un signorotto spagnolo, 70 euro.
Di ritorno dal Perito Moreno ci siamo fermati in una grande costruzione che ospita il museo dei Ghiacciai. Ma soprattutto ospita un incredibile bar di ghiaccio, di ghiaccio le pareti, di ghiaccio i tavoli, di ghiaccio i sedili, di ghiaccio i bicchieri che contenevano improbabili cocktail.Io mi sono accontentato del whisky, ho detto la scontata e banale battuta: “mi ci mette un po’di ghiaccio e poi assordato dalla musica a palla ho perfino ballato. Va bene, eravamo tutti ubriachi.
Da così
A così