GLI INCREDIBILI LETTORI DEL GIORNALE DI SALLUSTI
L’altro giorno, come vi ho già raccontato, sono stato invitato da Lilli Gruber ad Otto e mezzo. C’era anche, oltre ad uno Sgarbi straordinariamente sereno e simpatico, Gloria Origgi, filosofa di Milano che vive ed insegna a Parigi. Ad un certo punto, su sollecitazione di Lilli, io ho detto che il politicamente corretto non mi piace, che secondo me chi chiama “negro” uno che tratta bene si comporta meglio di uno che lo chiama “nero” ma lo tratta male. E’ una opinione. Gloria Origgi ne ha un’altra e ha detto che il mio è un ragionamento da cattolico, anzi che io sembravo uno di Comunione e Liberazione. Allora io, alzando la voce e con la inflessione esagerata tipica delle risse televisive ho detto: “Lei cattolico a me non me lo dice!”. Fine del dibattito e del teatrino. Maurizio Caverzan ci ha scritto un pezzo sul Giornale intitolato “Dalla Gruber “cattolico” diventa un insulto”. L’articolo di Caverzan è corretto. Il titolo un po’ forzato. Ma tutto bene nel complesso. Quello che invece è straordinario è il numero (e la qualità) dei commenti sulla versione online del quotidiano. Cinquanta (cinquanta!) persone hanno scritto sputando fiele su Lilli Gruber con motivazioni incredibilmente stupide. Andatevele a leggere (http://www.ilgiornale.it/news/politica/gruber-cattolico-diventa-insulto-1110798.html). Ne vale veramente la pena. A me il Giornale (idee politiche a parte) non dispiace. Lo leggo tutti i giorni. E’ ben fatto e completo. Ma se fossi Sallusti sarei disperato pensando al livello culturale e cerebrale dei lettori ai quali si rivolge. Alessandro, ma te ne eri accorto?
Giornale, negro, nero, origgi, politicamente corretto, Sallusti, sgarbi
FERRARI: DILEMMA, TREMENDO DILEMMA
La Ferrari è tornata a vincere dopo tantissimi anni non appena Montezemolo è stato mandato via e non appena della Ferrari ha cominciato ad occuparsi Marchionne. Non so se essere più felice perché la Ferrari è tornata a vincere non appena Mantezemolo è stato mandato via oppure essere più infelice perché la Ferrari è tornata a vincere non appena ha cominciato ad occuparsene Marchionne.
Ferrari, Marchionne, Montezemolo
ROBECCHI, CUORE, CHE NOSTALGIA
In quell’immenso archivio che è Internet ho scovato questo articolo di Alessandro Robecchi (Robeck per gli amici). Ve lo ripropongo, così, per un attacco di nostalgia e di passione politica.
pubblicato in BUONE LETTURE, Varie & eventuali
E’ uscito ormai da un mesetto NON AVRAI ALTRO CUORE ALL’INFUORI DI ME (Rizzoli, Bur, pagg. 309, euro 27,50). Si tratta di un volume celebrativo di quella esperienza umana, satirica, giornalistica, psichiatrica eccetera eccetera che fu Cuore, il settimanale di resistenza umana con la carta verdina. Il reducismo cuorista mi ha sempre fatto un po’ impressione, ma in fondo, per una vlta, perché no? Il libro raccoglie un’antologia di quello che fu Cuore, alcune prime pagine, molte vignette, tante storie e alcune foto di quando eravamo giovani. Come caporedattore di quel foglio verdino mi hanno chiesto qualcosa che somigliasse a un ricordo, forse persino a un’analisi, un commento, o non so. Io gliel’ho mandato. Loro lo hanno pubblicato. Voi potete leggerlo qui sotto. Non è una ricostruzione, non è una nostalgia, non è una confessione. E’ quello che mi pare sia successo. Tra parentesi, è stato divertente. Il pezzo è uscito con il titolo: COMPAGNO ROBECCHI, TE NE VAI CHE IL SOLE E’ ANCORA ALTO? Buona lettura, se vi va.
Questa è la storia di quando ci hanno mangiato i coccodrilli, ma siamo qui a raccontarla, e i coccodrilli ci fanno ancora ridere. Se devo dire i Cuori che ho conosciuto sono parecchi e buoni tutti. Si noti qui la classica tenerezza per quello che è successo vent’anni prima, che dunque è tenerezza per se stessi, prima di tutto, e questo si sa. Ma sono proprio quei tanti anni, quella distanza di sicurezza, a permettere di vedere in quell’esperienza-matrioska che fu Cuore, un filo vero e distinto, un suo perché. Ricordo il Cuore clandestino, che stava nell’Unità, ricordo Michele nei corridoi di viale Fulvio Testi che mi chiedeva una sostituzione estiva, e poi di correre con loro, Aloi, Paterlini, il Tato Banali, gli altri che giravano intorno, che via via si aggiungevano, nelle stanze al neon della tipografia dove stavano ancora certe lynotipe ed è come oggi dire un grammofono, un sarcofago, un tabarin. Tutto arrivava via fax, la pattuglia grafica montava enormi computer per l’impaginazione, ma ancora si attaccavano figurine sul tavolo luminoso. Si faceva per ridere e si rideva noi per primi, “piace a noi” era l’unico marketing ammesso, e ancora oggi credo sia l’unico marketing possibile. Si segnavano i voti del Giudizio Universale su un quadernone, una crocetta per voto, La figa, La fine di Andreotti, Vedere come va a finire.
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Cuore, Robecchi
I GIORNALI SONO FATTI DI PUBBLICITA’ E DI NOTIZIE: SPESSO ACCADONO SINGOLARI ACCOSTAMENTI
E spesso, l’accostamento, provoca strani corti circuiti. Come per esempio la pubblicità di cibo accanto ad una inchiesta sulla fame nel mondo. Oppure la notizia di un grave incidente stradale accanto alla pubblicità di un’automobile particolarmente sicura. Ma ci sono anche accostamenti meno brutali, più raffinati. Ieri per esempio ho visto una pagina con la foto grande del pilota che ha ucciso i viaggiatori del volo Germanwings accanto ad una pubblicità di moda con un modello che attraversa con aria arrogante e sicura a larghe falcate la strada. Capita molto spesso che dalla pubblicità di moda, di profumi, di oggetti di lusso emani questa aria di presunzione, di egotismo, di insolenza, di prepotenza. Ecco, se mi avessero chiesto chi è l’assassino dei due non avrei avuto dubbi: il modello.
germanwings, pubblicità
DALLA GRUBER GLORIA SE LA PRENDE CON ME MA PER FORTUNA C’E’ VITTORIO SGARBI
Ieri sera sono stato da Lilli Gruber, insieme a Gloria Origgi e a Vittorio Sgarbi. E’ sempre gradevole andare ad Otto e Mezzo (Otto e mezza?) perché si parla, si lascia parlare, si ascolta, si convince, ci si fa convincere e non c’è teatrino. Per dire: Vittorio Sgarbi, dalla Gruber, è perfino simpatico. Come nella vita privata. Non sente di avere bisogno della maschera che litiga, insulta e urla “Capra”. In mancanza di Sgarbi se l’è presa con me Gloria Origgi, gradevole e simpatica filosofa milanese che vive a Parigi. Gloria si è sentita in dovere di fare la donna, per definizione politicamente corretta. Quando Lilli mi ha chiesto che cosa penso dei comportamenti politicamente corretti io ho risposto che non mi piacciono, che li trovo inutili e ipocriti. Non mi ricordo se l’ho detto ma lo dico adesso: “Il politicamente corretto è politicamente scorretto. Consente alla gente di mettersi il cuore in pace. E’ come mettersi il vestito buono per andare alla messa la domenica”. Di sicuro ho detto che preferisco uno che usa la parola negro ma poi lo tratta bene, non lo sfrutta, lo paga il giusto e non lo discrimina, a quelli che usano il politicamente corretto “nero” o “di colore” e poi li disprezzano e li maltrattano e non li considerano loro simili. A Gloria non sono piaciuto. Ha detto che io sono un cattolico, anzi peggio, uno di Comunione e Liberazione. Io le ho detto che non si azzardasse più a darmi del cattolico e che per quanto riguarda Comunione e Liberazione la sfidavo a duello dietro al cimitero all’alba e lasciavo a lei la scelta dell’arma. Alla fine della trasmissione Sgarbi mi si è avvicinato e sottovoce mi ha detto: “E’ stata proprio politicamente scorretta”. Difeso da Sgarbi! Che dramma. Sono l’unico che Sgarbi non tratta male.
cattolico, Comunione e Liberazione, gruber, origgi, sgarbi
COME ANDRA’ A FINIRE?
Domani sera sarò ospite di Lilli Gruber ad Otto e mezzo. Ci saranno anche Gloria Origgi, intellettuale italo-francese, e Vittorio Sgarbi. Come direbbe il papa, che la madonna mi accompagni.
Silvana Biasutti
Francesca Caminoli
Caro anziano, ho letto oggi il tuo pezzullo su tsunami, uragani, tragedie etc e mi è venuta in mente una cosa che avevo scritto ne La guerra di Boubacar e che ti mando
…Il nonno è morto l’anno scorso. Lui non parlava di gran di sentimenti. Li viveva in silenzio, un po’ appartato. Ma io capivo che cosa si agitava nel suo cuore. Fin da bambina ho sempre avuto la sensazione che chi ha vissuto vere tragedie, come il nonno, poi non pratica il melodramma, come fanno molti oggi. Il nonno mi ha insegnato che la guerra è una tragedia, che lo sono la fame, la miseria, l’ingiustizia, la morte di un bambino o di un giovane, la disoccupazione. Poche cose sono una tragedia. C’è una parte del mondo, la parte più grande del mondo, che vive la tragedia ogni giorno. Noi siamo la commedia. Perché un amore non è una tragedia: anche se finisce, c’è stato. Un amore è un amore, una gamba rotta è una gamba rotta, un mal di testa è un mal di testa, una ruga è una ruga, persino un tumore è un tumore se hai vissuto abbastanza. Sono solo cose della vita e bisogna dare alle cose il loro giusto nome…
Qui sta semplicemente piovigginando
RIFLESSIONI SU UNA GIORNATA DI TEMPO CATTIVO. SI PARTE DALLA PIOGGIA E SI ARRIVA A TIMOR EST
Giornataccia. Pioggia, vento, nuvole. Però per fortuna nessuno dei media ha titolato: tornado, uragano, tifone. Perché ormai è così: piove? Bomba d’acqua. Neve? Tomenta. Caldo? Clima torrido. Afa, calura. Mare mosso? Tempesta, tsunami. Fiume fuori dagli argini? Inondazione. Siamo nel secolo dell’esagerazione. Una volta le stagioni facevano il loro sacrosanto dovere. D’estate faceva caldo, l’inverno faceva freddo e nessuno si lamentava più di tanto. Il meteo lo si faceva in ascensore quando non si sapeva di cosa parlare in quei secondi di vicinanza coatta. Eh signora mia non ci sono più le mezze stagioni: era il massimo della lamentazione. Oggi tutti sanno non solo i nomi degli uragani ma anche quello delle perturbazioni semplici. Eppure subiscono il fascino delle esasperazioni. Si dilata, si amplifica. Anche per protagonismo. Siamo tutti zuppi d’acqua? Per forza, siamo in pieno diluvio. Le cose normali non ci piacciono. Subiamo la pressione dei giornali che amano ingigantire tutto usando con grande disinvoltura le parole. Muore un torinese in Tunisia? “Torino sotto shock”. Non è vero. Una città non è mai sotto shock. A meno che la tv non dica che è sotto shock. Quando dirigevo Pm, un mensile bellissimo edito da Mondadori, Omar Calabrese scrisse per noi un bellissimo saggio in cui analizzava le reazioni alle tragedie (era appena caduto il jumbo sudcoreano). Omar riuscì perfino ad “inventarsi” un’equazione per stabilire un rapporto fra i vari elementi interessati alla disgrazia, numero delle vittime, età, distanza, parentela, nazionalità, ricchezza. Ti commuove di più la morte per malattia di un bambino che abita nell’appartamento accanto al tuo oppure la morte improvvisa di 300 sconosciuti dall’altra parte del mondo in una tragedia aerea? Ti turba di più la morte di povero o quella di un ricco? La risposta non è così scontata. Ed esistono molti stadi intermedi tanto che si possono stabilire rapporti piuttosto cinici. Quanti giapponesi lontani per un bambino vicino? In quei tempi, ai tempi del jumbo coreano, imperversava a Timor Est, microregione dalle parti dell’Indonesia, una guerra che faceva centinaia di vittime, bambini trucidati, donne stuprate, foreste distrutte dal napalm. Non gliene fregava niente a nessuno. I giornali non ne parlavano. Durò quasi trenta anni. Non si sapeva nemmeno come chiamarle le vittime di Timor Est. Timorestesi?
calabrese, timor est, tunisia
AL POLITICO NON SI ADDICE UNA CHIOMA ESAGERATA
A casa di mia madre il vento di un mese fa ha sradicato un paio di pini marittimi altissimi che avevano circa sessant’anni. Li ha abbattuti. La zolla di terra penetrata dalle radici superficiali si è sollevata e l’albero, sotto la spinta di un vento straordinario che si è abbattuta su una chioma lasciata crescere eccessivamente, è crollato. Adesso abbiamo un sacco di legna per la caldaia. Ma anche la preoccupazione che ne crollino altri. Così abbiamo preso il coraggio a due mani e abbiamo potato quasi a zero tutti gli altri pini ai quali è rimasto un buffo ciuffetto in cima che li rende veramente ridicoli. Quello che era un sontuoso viale di ingresso è adesso una via di accesso piuttosto comica. Spero che col tempo riacquisti una sua dignità. Per terra sono rimasti i resti della nostra carneficina, legna e fronde che riusciremo a smaltire in settimane e settimane. Per transitare con l’automobile dobbiamo fare lo slalom e la grande buca dove bruciamo le sterpaglie è in continua funzione. Questo succede se non si ha la dovuta attenzione e si trascurano le piante. La natura non è scema. Siamo scemi noi che la sfidiamo in continuazione. E a me viene in mente che anche molti uomini, molti politici, hanno una chioma che lasciano crescere oltre ogni ragionevolezza. E prima o poi un vento impetuoso li abbatterà. E li lascerà lì da soli, molto ridicoli.