Che cosa spinge ad odiare? Qual è la molla che tende a distribuire epiteti ed offese via internet? Che cosa ci rende così maleducati davanti ad un computer? Innanzitutto diciamo che il termine hater è assolutamente esagerato. I ciberodiatori non odiano. L’odio è un sentimento tremendo ma di qualità. Gli haters non sono di qualità. Sono dei deficienti. Sono dei bulletti. Sono l’espressione più avanzata e sciocca dei giocherelloni telefonici. Di quelli che suonano al citofono e scappano. A volte si schermano dietro l’anonimato. A volte no, credono di essere coraggiosi offendendoti con nome e cognome. Io spesso dico che internet è la versione tecnologica e moderna del Bar Sport. Ma non è vero. Al Bar Sport chi insulta rischia un cazzotto. Alla tastiera no. E’ buffo che tutto questo si scateni sui social mentre proprio i social hanno nel nome la radice di socializzare, che vuol dire conoscersi, capirsi, abbattere le barriere. Anni fa decisi di chiudere il mio blog (vecchi e amati tempi quelli dei blog!) perché alcuni, troppi, dei miei corrispondenti non dimostravano sufficiente gentilezza dialettica. E i blog di allora erano dei collegi vittoriani al confronto degli account di facebook di oggi dove ci si parla fra “amici” e ci si prende a male parole. Si potrebbe scegliere di uscirne. Di smettere di frequentare certi ambienti, come avrebbero detto i nostri genitori. Io ho scelto di rispondere con un eccesso di buona educazione. Esageratamente. Quelli che capiscono, capiscono. Quelli che non capiscono si trovano ancora peggio perché non capiscono. Con questo sistema mi sono sempre trovato bene. Mia madre diceva: “Non litigare mai con un cretino. La gente potrebbe avere difficoltà a capire chi è quello intelligente”. E voi? Che sistema usate? La rissa?
Grandiosa idea di Marco Ardemagni, uno dei conduttori di Caterpillar AM. Come si può risolvere la carenza di personale politico italiano? Semplice. Importandolo. Non è proprio una idea originalissima. Lo facevano già i Romani. Comunque…
Eccola: “Approvare una riforma costituzionale che consenta a cittadini stranieri di assumere incarichi di governo nel nostro paese, oppure prevedere iter estremamente abbreviati di concessione della cittadinanza a figure politiche non italiane di rilievo assoluto in grado di assumere incarichi di governo”.
Tutto qui? Spiega Marco: “Nella Costituzione (artt. 92-96) non sembra essere esplicitamente esclusa la possibilità di avere ministri o Presidenti del Consiglio stranieri (diversamente da quanto è previsto per il Presidente della Repubblica)”,
Inoltre: “Un caso internazionale di ministri stranieri si è già verificato in Ucraina nel 2014 (una statunitense, un lituano e un georgiano), ma noi vorremmo che questa eventualità fosse esplicitamente prevista dal dettato costituzionale”.
Marco non fare il tartufon. Io lo so dove vuoi arrivare. “Potremmo così, forse, beneficiare di un’occasione unica e, probabilmente irripetibile, che una fortunata serie di circostanze ci mette a disposizione: avere Angela Merkel come premier.
1) Il prossimo 26 settembre (2021) in Germania si terranno le elezioni federali. Angela Merkel si è già detta indisponibile per un quinto mandato da Kanzlerin. Del resto la CDU è ora saldanente nelle mani di Annegret Kramp-Karrenbauer;
2) Angela da un lato è stanca della politica tedesca, dall’altro ama il nostro paese e vi trascorre spesso le vacanze, in particolare a Ischia;
3) Angela è senza dubbio di gran lunga migliore di qualsiasi politico italiano ci possa venire in mente dai tempi di Alcide De Gasperi (che tra l’altro è morto soli 33 giorni dopo la nascita di Angela, come a dire “adesso posso andarmene in pace, l’Europa è al sicuro);
4) Angela ha dimostrato a più riprese di essere in grado di fare il bene del popolo che guida, ma il popolo che guida non deve essere necessariamente il suo;
5) Non si capisce quale motivo possa consentire a una pippa o a un disonesto di diventare Presidente del Consiglio, purché italiano, mentre non è possibile avere un premier straniero.
6) Angela è ancora relativamente giovane (nel 2021 compirà 67 anni) e il suo caso sarebbe molto simile a quello dei grandi campioni che dopo aver militato per anni in squadre di prima fascia come l’Inter vanno a finire la propria carriera, essendo ancora abbastanza pimpanti, in squadre minori come l’Al-Gharafa in Qatar (vedi il caso di Wesley Sneijder), oppure, come Cristiano Ronaldo, dal Real Madrid alla Juventus”.
Conclude il geniale Arde: “Non sono solito invitare a condividere, ma in questo caso mi sento di suggerirlo, vista l’urgenza del problema. Viva l’Italia, viva Angela Merkel”.
Come si dice nei social, quot: “Viva l’Italia, viva Angela Merkel!”
Il fatto che abbia una moglie e un figlio per metà tedeschi è solo una coincidenza.
Avremmo finalmente un primo ministro di sinistra.
“Viva l’Italia, viva Angela Merkel!”
Ora che i francesi lo hanno eletto “arbitro più bravo del mondo della storia” mi sono ricordato che lo avevo intervistato, nel 2006 , e proprio nell’incipit lo avevo definito “arbitro più famoso del mondo”. E’ la stessa cosa? Non lo so. Penso di no. Anche Moreno era famoso ma mica tanto bravo. Pierluigi Collina, intervistato nella hall di un albergo in Versilia, si rivelò subito un intervistato ideale. Era un misto tra sincerità e voglia di non apparire banale. Cioè voglia di apparire. E me ne disse di belle. Mi disse che sì, da bambino aveva fatto il tifo per la Lazio. Mi disse che sì, era di destra e votava per la destra. Tanto che a scuola lo avevano bocciato in italiano dopo che in un tempa, scrisse la professoressa, “si sentiva puzza di olio di ricino e di manganello”. Mi disse che un bravo arbitro deve essere un po’ folle e che una volta aveva prolungato una partita mondiale, Brasile Germania. per accaparrarsi il pallone. Mi confessò che ai giocatori dava del tu, che se si arbitrano due squadre nordiche bisogna fare cose diverse che se si arbitrano due squadre latine, che con lui arbitro le squadre turche avevano sempre vinto. Io ero convinto che fosse orgoglioso della sua calvizie e invece scopri che sull’argomento, che lo faceva soffrire, non aveva per nulla senso dell’umorismo.Fu sincero anche nel giudicare il gesto di Totti che sputò a un avversario. Disse: «È stato un gesto assolutamente orribile”. Però? “Però non è giusto ricordarsi di quel gesto per sempre”.
SE POI MORITE DALLA VOGLIA DI LEGGERVI L’INTERA INTERVISTA ECCOVI ACCONTENTATI
Pierluigi Collina
Mi era sfuggito. Risale a più di un anno or sono. Come è sfuggito a me può essere sfuggito a voi. E allora ve lo ripropongo. E’ un post scritto da una studentessa di medicina dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Virginia Di Vivo. Ha fatto lunghi giri, social, giornali.
Eccolo. Non fate i ritrosi. Leggetelo. Dovete leggerlo. E un post che vi vaccina dalle frasi del cazzo tipo aiutiamoli a casa loro
“Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo.
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No, no, no, no. Non è vero. Non è vero che tra destra e la sinistra non c’è più differenza. Destra e sinistra sono sempre esistite e sempre esisteranno. Quando incontrate uno che dice che destra e sinistra non esistono più, state tranquilli, quello è di destra. E cioè pensa che lo sviluppo sia più importante dell’uguaglianza sociale. Pensa che il Pil sia più importante del Welfare. Opinioni legittime. Ma l’importante è non fare confusione. Poi esiste una destra moderna accanto ad una destra becera e reazionaria. Come esiste una sinistra che guarda al futuro accanto ad una sinistra conservatrice. Una sinistra radical chic ed una sinistra stalinista. Una sinistra intollerante, una sinistra violenta. Esiste una sinistra generosa ed una sinistra egoista. Esistono tante destre e tante sinistre. Ma sempre destra e sinistra sono. Di destra è chi pensa che bisogna dare ad ognuno secondo i suoi meriti, è di sinistra chi pensa che bisogna dare ad ognuno secondo i suoi bisogni. Però è vero che quasi non esiste più differenza tra gente di destra e gente di sinistra, tra partiti di destra e partiti di sinistra. Che esistono persone che passano tranquillamente da destra a sinistra e viceversa. Che si presentano alle elezioni e solo all’ultimo decidono se farlo in un partito sedicente di destra o in un partito sedicente di destra. E’ vero che tu voti per un candidato che dice di essere di destra e te lo ritrovi dopo cinque minuti in un partito che dice di essere di sinistra.
Ecco, questo lo scrivevo qualche anno fa. Le cose non sono assolutamente cambiate. Renzi è di destra o di sinistra? I Cinque Stelle sono di destra o di sinistra? Merkel è di destra o di sinistra? Salvini…No, fermi, questa la so. Ma non vi dico niente. Indovinate voi.
Quando Gianni Boncompagni ha compiuto 60 anni, io l’ho intervistato. Quando ha compiuto 70 anni, io l’ho intervistato. Quando ha compiuto 80 anni, io l’ho intervistato. Sono stato il metronomo dei suoi decenni. Il testimone del suo tempo che passava. Gli chiesi: ci diamo l’appuntamento per i novant’anni? “Che cosa?” Ci arrivi a novant’anni? “Non lo so”. Qualcosa di più preciso? “Sì, sì, sì… spero di sì. Malamente, ma sì. Ci arrivo ai novant’anni”. Facciamo anche l’intervista dei cent’anni? “Me l’immagino. Noi due, sul divano, rincoglioniti… senza capire niente…tutte e due totalmente sordi…come? Come?”
Quanto mi divertivo ad intervistare Boncompagni.
Gli chiesi: che cosa dobbiamo scrivere sulla tua tomba?
“Scrivici: “Adesso mi sto annoiando””.
Nei giorni dell’intervista si era fidanzato con una giovanissima, come al solito.
Gli chiesi: Lei quanti anni ha?
“Cinquanta meno di me”.
Non ti innamori mai di una coetanea?
“Le mie coetanee sono tutte morte”.
Boncompagni abitava in uno splendido attico in via Nemea, a Roma. Circondato da marchingegni elettronici. La maggior parte del tempo lo passa a Porta di Roma, nei vari centri commerciali. Era un acquirente compulsivo. Alla fine, mi disse, ho comprato un appartamento vicino ai centri commerciali. Mi veniva più facile.
Con Boncompagni era divertente anche parlare di vecchiaia, di malattie e di morte. Gli chiesi: Quando si diventa vecchi cambiano gli interessi? “Cambiano gli argomenti di conversazione”. Fammi un esempio. “Chiedi all’amico ottantenne: “Come sta tua moglie?” E lui risponde: “Le hanno dato dieci giorni di vita”. La settimana dopo lo rincontri. “E tua moglie?”. “E’ morta”. Queste sono le conversazioni fra ottantenni”.
Che bel mestiere che è quello che ho fatto. Ho conosciuto gente come Gianni. Che un giorno mi chiamò e mi chiese se volevo partecipare al suo ultimo programma, Bombay. Io gli risposi “Di corsa”. Mi fece fare il Padreterno. Io mi preparavo benissimo, scrivevo tutto il mio copione e poi glielo portavo. Lui lo leggeva attentamente e tutte le volte mi diceva: “Splendido”. Poi lo prendeva e lo faceva a pezzetti.
Le interviste a Gianni Boncompagni sono archiviate qui. http://interviste.sabellifioretti.it/?cat=40
Volete vincere il diritto di uccidere un capriolo, un camoscio, un cinghiale? Nessun problema. Basta partecipare ad una lotteria. Ce ne sono tante nel Trentino Alto Adige. Comprate il biglietto e aspettate. Se la fortuna è dalla vostra nel prossimo week end vi dotate di apposito fucile e andate a riscuotere il premio. Associazioni turistiche e perfino società che gestiscono impianti di risalita organizzano queste simpatiche riffe. Una volta si vinceva un gigantesco uovo di Pasqua. Adesso si vince il diritto di piantare una palla di piombo fra gli occhi di un cervo. Le lotterie ammazza-cervi hanno un grande successo. Un capriolo maschio a Caldonazzo, un capriolo femmina, quattro beccacce e quattro lepri a Ronzo Chienis, un camoscio adulto e una capriola a Rumo, un altro camoscio a Stenico. E’ tale il successo che anche in altre regioni si segue l’esempio. In una riserva umbra si può vincere il diritto di uccidere un cinghiale. Lo so, lo so, sento già alcune voci levarsi e sostenere che uccidere un camoscio non è reato. Ma io non ho parole per rispondere, non ho più neanche tanta voglia di protestare, di sentirmi dire che se mangio carne qualcuno li deve pure uccidere gli animali. Mi basta raccontare queste cose. Penso al papà che dice al figliolo: tieni il biglietto, se esce il numero possiamo ammazzare una bella capriola. Mettere in palio un’uccisione. Che bel messaggio! Dovete capirlo da soli che è una cosa che non bisogna fare. Se non lo capite io non posso fare nulla per voi.–
QUESTE COSE SUCCEDEVANO NEL 2010. OGGI, SI SPERA, NON SUCCEDONO PIU’
Conoscete quel bel giovanotto col cerchietto rosso attorno alla testa? Si chiama Paolo Gabriele, Paoletto per gli amici. La sua vita ormai è segnata, non tanto per essere l’uomo che avrebbe consegnato all’esterno le lettere destinate al papa, non tanto per essere finito per questo motivo in galera, non tanto per essere stato definito il capro espiatorio dello scandalo del Vatikanleaks quanto per essersi guadagnato per tutti questi fatti il cerchietto rosso nelle fotografie, anche quelle in cui compare da solo insieme al papa. Dida: “Paolo Gabriele, col cerchietto rosso, insieme al papa. E meno male che c’è il cerchietto rosso altrimenti uno potrebbe confonderlo con Ratzinger. Come quando in una foto c’e un attore famoso con il suo barboncino e la dida recita: “L’attore famoso, a destra, …” Ricordo anche una famosa barzelletta. Bepi va a Roma e per uno strano scherzo del destino viene invitato dal papa a salire sulla papamobile. La scena viene mandata in mondovisione. Toni, al bar del suo paesello, vede la scena in tv ed esclama: ” Ma chi è quel signore vestito di bianco vicino a Bepi?”-–
Ho cominciato questo mestiere facendo il giornalista sportivo, come mio padre che era direttore del Corriere dello Sport e che fu il primo radiocronista di calcio. Solo per dire che so di che cosa sto parlando. Sto parlando dei telecronisti tifosi. Che cominciano la telecronaca urlando forza Italia forza azzurri. Roba da terzo mondo sportivo e culturale. Telecronisti che parlano della squadra usando il pronome «noi», che di un avversario che sbaglia dicono «per nostra fortuna non ha colpito bene il pallone», che si trasformano anche in commissario tecnico. «Non dobbiamo fare questi passaggi, piuttosto palla indietro al portiere». Oppure: «Io Balotelli non l’avrei fatto uscire». In compenso, mentre le telecamere indugiano su volti noti e seminoti sulle tribune, si guardano bene di dire i loro nomi. Dicono anche «se nessuno protesta come facciamo a convincere l’arbitro che era fallo?» Insopportabile. Il giornalista sportivo non deve fare il tifo, deve raccontare, dire i nomi, spiegare il regolamento, rendere l’atmosfera, trasmettere l’emozione. Il tifo lo facciamo noi. È come se il giornalista politico facesse il tifo per un politico o per l’altro. È come se il giornalista economico facesse il tifo per un amministratore delegato o per l’altro. Come dite? Vabbé, faccio finta di non aver sentito.